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Dimmi un po' Signorina...
Quante volte da bambini abbiamo sognato sulla scia di una bolla di sapone coloratissima, che abbiamo seguito con lo sguardo e con la fantasia suscitata dalle iridescenze di una goccia d’acqua insaponata?
Quante volte da bambini abbiamo immaginato storie e travalicato misteri, semplicemente accarezzando i giochi delle ombre cinesi proiettate sul muro da una luce?
Io, mille volte. E mille volte ancora.
Qualcosa di simile accade a Signorina, figlia di ferroviere, quando alla stazione incontra un ometto strano, che con un foglio di carta realizza un vestito: “Signorina rimase da sola, a contemplare la sua bambola risplendere di una nuova grazia e di eleganza, con quel fragile vestito di carta colorata che le toglieva gli anni di consunzione e lo sporco, le ditate dell’affetto e dei giochi, fasciandola con la bellezza che hanno le cose semplici, leggere.”
Così Signorina scopre di possedere un talento straordinario nelle proprie mani (“Tu hai l’oro nelle mani”), un’abilità che la modestia le impone di celare: “No signora, è l’unico che so fare”, si schermisce la ragazza, “arrossendo… per la bugia che stava propinando all’anziana sarta…”
Il romanzo è la storia delle occasioni mancate di una bambina sensibile e intelligente, che avrà la vita marchiata dal sacrificio, dalla sfortuna e dalla rinuncia.
Signorina patisce una cultura patriarcale ove il capofamiglia relega la donna (“Il fastidio per la nascita di un impiastro di femmina fu un poco mitigato dalla bellezza che anche un ammasso d’acciaio riusciva a esprimere in quel procedere maestoso … Quindi si mosse verso la banchina e alzò la paletta da capostazione per arrestare la bellezza davanti ai suoi piedi”), ne soffoca le ambizioni culturali e, in punto di morte, chiederà scusa alla figlia per tutto (“per averle sottratto il rossetto, per averle tagliato a pezzetti le sigarette, e impedito che uscisse la sera a ballare con le amiche, e proibito le calze di nylon e altre decine di cose…”), ma non per l’errore più grave: averle impedito di proseguire gli studi.
In questa famiglia patriarcale la mamma è inconsapevolmente complice del patriarca, con il suo spiccato senso della sottomissione (“… non sapeva né leggere né scrivere e di quelle attività aveva un concetto sospettoso e persino peccaminoso”), mentre il rapporto tra i due sessi sembra ispirarsi alle idee del fascismo: “la meraviglia di un perfetto scambio tra la forza virile e la fragilità muliebre, tra chi possedeva e chi era destinato a essere posseduto, qualcosa che accomunava le donne e le colonie…”
Nel corso della vita Signorina scopre, tappa dopo tappa, che l’amore graffia il mondo e che la vita graffia l’animo, in una tragica sequenza ove “un peso appena allontanato” prelude a “un altro nuovo che già le stava graffiando la vita.” E realizza così un destino opposto a quello che avrebbe desiderato per sé, si sposa per ripiego (“lei vide il volto di un bambino graffiato da un dolore, il cuore le si intenerì e Beppe in quel momento le parve persino bello”), affronta scelte dolorose e la malattia del figlio Ivo (“Il piccolo … pareva avere un difetto dovuto alla nascita prematura”. “Lo dovete tenere come un cristallo, intesi? E’ l’unico modo per allungargli la vita”), incappa lei stessa nel disturbo mentale che la trasforma in “una persona molto distante dalla Signorina che lui aveva conosciuto e amato, neanche fosse una vecchia stanca e vinta dalle cose della vita.”
Ricorrono in questo romanzo molti dei temi cari a Riccarelli. Nello scorso mese di luglio, questo autore straordinario ci ha lasciato orfani di una penna - la sua - che sa tracciare solchi profondi nell’animo di chi legge. In quest’ultima opera abbiamo modo di rivivere il gusto per la saga della famiglia numerosa negli anni del fascismo e del secondo conflitto mondiale (durante il quale i fratelli subiscono una diaspora: Leone in Africa, Severo in Grecia, Olmo in Russia), lo stesso gusto che abbiamo amato ne “Il dolore perfetto”. E ritroviamo il senso della difficile lotta quotidiana che i trapiantati sono costretti ad affrontare e che abbiamo già letto in “Ricucire la vita” …
Bruno Elpis
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