Dettagli Recensione
la mala educazione emotiva
Le vite dei protagonisti Alice e Mattia, personaggi inventati da Paolo Giordano ma la cui esistenza teorica è almeno possibilmente vera, pare abbiano un peso specifico tale da schiacciarli a terra e costringerli a girare eternamente intorno ad un nucleo, rappresentato da un evento passato, che determina un destino ineluttabile in cui l’unica cosa che sembra veramente contare sono le conseguenze. La loro storia è magnifica e terribile, elegantemente profumata, ma pericolosamente tagliente.
Al di la dei fatti, che tutti ormai conoscono perché il libro è stato pubblicato più di un anno fa, c’è da dire che i due personaggi principali, così importanti da narrare, così attraenti e speciali, sono soprattutto due grandissimi stupidi.
Questi due numeri primi gemelli, seppure rari, si incontrano, proprio loro, tra una moltitudine di persone. Ma, nonostante la fortunata casualità di questo incontro, a seguito di tutta una serie di cose non dette, di fraintendimenti, di sentimenti non dichiarati, di piccole paure e vergogne mai realmente affrontate, non riescono a mettere in atto le azioni necessarie per rompere l’incantesimo che li separa.
Basterebbe in fondo così poco, così poco per uscire da quelle ormai inutili solitudini che condannano Mattia, in un finale solo apparentemente assolvente ma che in realtà lascia intravvedere tutta l’amarezza di una vita mal spesa, a vivere con una donna che gli si è parata davanti una sera e che lo ha scelto tra tanti perché le è sembrato il più originale; Alice, che in quanto donna è sempre condannata a scontare di più, a vagare su questa terra sola, irrisolta e malata ma incapace di soccombere. Il che, forse, la porterà fino alla fine dei sui giorni a tormentarsi tra i se e i ma come solo le donne sanno fare.
Mi ricordo di un romando che ho letto tanti anni fa: Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Anche in questo romanzo i protagonisti sono un ragazzo e una ragazza che si amano e che per una circostanza, verso la fine della loro adolescenza, si devono separare. L’ho comprato perché ne parlavano tutti, ed effettivamente ne valeva la pena. Ne valeva la pena anche per Sandro Veronesi che nella sua recensione scriveva: “E bello, questo romanzo, perché […] Provo a immaginare: liceali sparsi per i corridoi delle scuole, seduti a terra, a leggere in un angolo […]”
E io mi permetto di scrivere, a proposito della solitudine dei numeri primi: “ E bello, questo romanzo, perché parla di cose importanti, perché porta in primo piano le vite degli imperfetti, dei solitari, degli outsiders. Perché non perde tempo a raccontare quanto la vita possa essere meravigliosa anche se problematica, perché affronta di petto la possibilità che non sempre ci sia un lieto fine a tutto. Provo a immaginare: ragazzi e non, intenti a leggere; che arrivano all’ultima parola trattenendo il fiato. Commossi e po’ scontenti chiudono il libro. Ci pensano a caldo e a freddo e poi concludono che, diversamente da quanto Mattia e Alice decidono di fare, non esiste nessuna ragione al mondo, nessuna conseguenza, paura, dubbio, nessuna presunta correttezza, norma o consuetudine comunemente condivisa, che giustifichi lo sbattere ai rovi la rara possibilità di essere felici veramente.
Indicazioni utili
Uto di Andrea De Carlo