Dettagli Recensione
La debacle di Tiziano Scarpa
“Stabat Mater” è la celebre messa musicata da Vivaldi nel 1711 che ha ispirato il titolo dell’ultimo romanzo del giornalista e scrittore Tiziano Scarpa. La trama gravita intorno alla triste storia di Cecilia, una ragazza sedicenne orfana abbandonata presso l’Ospitale della Pietà di Venezia. Nella prima parte, l’autore ci presenta la protagonista come priva della minima autostima, sola, depressa, malinconica, parla ogni sera con la morte, che assume le sembianze della mitologica Medusa, gira di notte nei punti più tenebrosi ed oscuri dell’Ospitale; questi aspetti misteriosi di Cecilia scompaiono apparentemente quando suona nella piccola orchestra dell’Ospitale, ma invece si manifestano ancora più violentemente nella sua mente.
Nella seconda parte, tutto cambia all’arrivo del noto musicista Antonio Vivaldi: il celebre compositore scopre immediatamente il talento della giovane orfana e la convince, nonostante la sua riluttanza, ad essere uno dei due primi violini dell’orchestra.
L’intero romanzo, molto breve, è composto dalle lettere che Cecilia scrive alla mamma, sperando che essa un giorno ritorni a prenderla da quel luogo in cui tutto le sembra essere ora familiare, ora alieno, ora chiaro, ora oscuro.
Uno stile molto distinto, periodi brevi ma intensi, fanno emergere sicuramente il talento di Tiziano Scarpa, ma resta sicuramente l’unico elemento positivo del romanzo: scene confuse e squallide, una tristezza radicata in ogni parola e trama poco interessante fanno chiedere se questo scritto abbia davvero meritato il prestigioso “Premio Strega” del 2009. Persino il palato dell’appassionato più fine non può leggere con soddisfazione l’ultimo prodotto di Scarpa, dove parti nelle latrine, ricorrenti allusioni a feci ed elementi ben poco invitanti ed anche scene d’apparente follia, come quella in cui Cecilia, per non farsi sorprendere nella sua scampagnata notturna, osserva, senza aiutarlo, Vivaldi che si strozza a causa di un’ostia, ma solo pregando che non gli succeda nulla. Questo evento forse rappresenta meglio lo stato d’ordinaria follia in cui si svolgono gli eventi nel famigerato Ospitale e che è presente nella contorta mente di Cecilia, un personaggio che alterna troppo sovente un’eccessiva maturità a caratteristiche da bimba viziata.
Altra pecca: il romanzo è, per così dire, “sproporzionato”, infatti, la prima pesante parte consta di novanta pagine che narrano della misera vita nell’Ospitale e dei complessi che Cecilia si crea, dedicando quindi solo le ultime 50 pagine alla seconda parte, troppo breve, più interessante del romanzo, dove finalmente compare Antonio Vivaldi.
Infine, il finale è deludente: il lettore spera sicuramente in qualcosa di felice dopo circa 140 pagine di tristezza e depressione, ma questa speranza è da ritenersi vana.
Questo romanzo non s’aveva da fare, citando Manzoni.