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Pane e tempesta
Parlare di un libro di un autore conosciuto ed amato come Stefano Benni non è facile non fosse altro perchè si corre il rischio di eccedere nel ricordo nostalgico dei suoi primi libri che fanno parte della nostra vita come fossero vecchi amici e passare in second' ordine la pubblicazione attuale. D' altra parte con Benni questo rischio si corre perchè spesso, almeno per i lettori come me che lo seguono da più di un trentennio, è forse difficile ammettere che tanto tempo sia passato e che ci troviamo di fronte ad un uomo che, superati i sessant'anni, nelle sue opere cominci sempre più spesso a fare un bilancio della sua vita, di quello in cui ha creduto, che spessissimo è ciò che abbiamo creduto anche noi, e di come il trascorrere degli anni si sia divertito, spesso malignamente, a smentire molti dei suoi e dei nostri sogni e delle sue e delle nostre aspettative. Invece voglio soffermarmi sul libro e basta, una paradossale storia nel suo consueto spirito tra la favola e l' allegoria che spesso ci ricorda Calvino, di un paesino di una qualsiasi provincia italiana aggrappato ai margini di un bosco minacciato dai continui tentativi di inglobamento nell' usuale mare di cemento e massificazione che contrraddistingue la nostra epoca. Tutto questo al servizio di una padronanza linguistica e una fantasia straripante che ci trasporta in un mare di neologismi o giochi di parole che possono andare dal gatto tripode sfuggito alla tagliola all' anemia saccarifera che affligge le paste moderne, al coniare fantastiche associazioni come il LPIG (Lega protezione iguana)per continuare con le mirabolanti ricette con cui la cuoca Sofronia sfida lo chef Rasputin che vanno dall' Erbazzone alla Baudelaire al Polpettone alla Carnera, dai gentili Formaggi di montagna al miele di gelsomino contrapposti ai letali, ma gustosissimi, Formaggi puzzoni con miele d' acacia e dalla misteriosa Crema arcana ai quindici funghi al portentoso e sadico Risotto di rane zoppe!
Va da se che questo stile comporta nei lettori a volte un certo smarrimento, e il destino degli scrittori amanti della semantica che, Gadda e Svevo primi fra tutti, vengono unanimamente riconosciuti geniali, ma spesso un po' ostici, è proprio quello di avere estimatori assolutamente di parte come posso essere io, e detrattori convinti di leggere un muro di parole senza venire al dunque. Pane e tempesta non sfugge a questa regola, ma aldilà dello stile la reputo un' opera di uno scrittore maturo che non può più riproporci il fantastico Bar sport o Baol come molti vorrebbero, ma che nelle pieghe del racconto può rammentarci quello che eravamo per contrapporlo alla realtà presente, lasciando a noi la facoltà di giudicare il meglio e il peggio. Il tutto forse compendiato nella bellissima scena finale con il Nonno Stregone (personaggio cardine del racconto) che si siede appoggiato ad un vetusto fusto sopravvissuto all' assalto edilizio e mescola le voci dei giovani del paese alla struggente melodia del bosco. Un anelito di nostalgia e speranza di chi non vuole comunque arrendersi all' appiattimento e alla prepotenza del consumismo.
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Fantastica recensione, Michele! =)
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