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LA CONVIVENZA DELL'IDILLIO E DELL'INGANNO
Elsa Morante potrà piacere o non piacere, ma, in entrambi i casi, si commetterebbe un’insolente cattiveria nel definirla una scrittrice senza carattere. Solo una penna di un’identità autoriale così forte può essere in grado, al suo primo esordio narrativo vero e proprio, di buttar fuori un romanzo di questa portata, in totale contrasto con la linea letteraria novecentesca presente all’epoca.
“Menzogna e sortilegio” sorge come un’imponente cattedrale, costruita con il gusto del sottile e del minimo dettaglio, abitata da personaggi mitici, santi e dannati. La chiave d’accesso, donata al lettore per introdursi in questo spazio monumentale, è l’ambiguità; la via da seguire è la menzogna, accompagnati dalla narratrice, Elisa, la quale si presenta, onestamente inaffidabile. La sua inattendibilità è ostentata fin dalle prime pagine del romanzo e prenderà tutto il tempo necessario per presentarsi e far capire che il suo non è un gioco letterario, ma uno stato psichico alterato di un personaggio “pericoloso”, che tenta, forse di medicare, ma non guarire del tutto, le profonde ferite del passato, munendosi di strumenti, quali la fantasia e la memoria.
E che cosa sono fantasia e memoria per l’età di un fanciullo, se non un gioco complesso che rischia di intrecciare i fili della realtà con quelli dell’inganno?
Il romanzo, che i lettori leggono per la prima volta, in realtà non è che una rilettura ragionevole dell’infanzia e della prima adolescenza di Elisa, che la narratrice poco più adulta, decide di rielaborare e scrivere a posteriori, ed è importante tenere sempre a mente questo dato fondamentale per accettare di abbandonarsi a quell’ambiguità in cui ogni personaggio, ogni episodio e, dunque, ogni lettore rimane come sospeso.
“Menzogna e sortilegio” è in superficie un romanzo familiare, nell’abisso, invece, un’esasperata e inappagabile ricostruzione dei più intricati modi e comportamenti umani che l’individuo costruisce sia verso di sè sia nell’incontro con l’altro e, soprattutto, come l’esperienza di questo rapporto dialettico dentro-fuori, rientri nelle forme fantasma di un’epifania mentale, partorita da sè stessi, di cui la realtà effettiva non porta più alcuna traccia.
Lo spazio dominante su cui i personaggi si muovono è un terreno brulicante di desiderio mentale, la passione, infatti, riguarda la fisicità solo perchè essa è invasata e sottomessa da uno stato psichico manipolatorio, che non si cura della verità, ma solo della proiezione del proprio volere.
Dentro questa diagnosi che, senza suspence narrativa, presenta immediatamente la tragicità degli effetti di questo processo psichico, si svela come, quella che viene presentata come una leggenda degli occhi infantili sia, in realtà, un dramma piccolo-borghese.
I complicati rapporti familiari descritti, si inseriscono nel filone psicoanalitico freudiano dell’evangelico “Romanzo familiare dei nevrotici”, rappresentativo di una costruzione fedele e di una demolizione complessa del grande mito genitoriale, che prima di essere sconfessato definitivamente e oltrepassare la tremenda linea di separazione, i cui poli estremi sono trattenuti dall’idillio e dall’inganno, subisce uno scambio di ruoli da genitore-figlio a figlio-genitore.
Elisa, statica, stagna nella consapevolezza dostoevskijana di aver intravisto la verità, ma di non sapere che cosa farne. L'esistenza è bloccata in un passato sepolto e il tempo ha perso la funzione ordinatrice di classificare il presente o proiettare il futuro. La presa di coscienza, se non rifunzionalizzata in una nuova espressione vitale, disintegra il soggetto dall’interno.
E’ un fatto noto che la Morante ponga al centro dei suoi romanzi il grande incanto della giovane età, sembra non esistere altro, né tantomeno qualcosa di più importante da raccontare, se non quel tempo tra l’infanzia, la fanciullezza e la giovinezza, in cui un piccolo gesto, un pensiero imbarazzante, un modo di atteggiarsi o un sogno irraggiungibile, vissuto da un giovanissimo ragazzo o da una giovanissima ragazza, siano elementi di natura indispensabili e raccontati come fossero le punte di diamante di ogni esistenza, come se fossero l’unico principio per cui si vive e si muore. Non esiste e non può esistere, per la Morante, alcuna forma di vergogna o di ridicolezza dentro una giovane incoscienza perfetta e purissima in qualunque manifestazione si presenti. Tutti i romanzi della Morante, in un modo o nell’altro, entrano in un potente dialogo tra di loro, ed è curioso come questo acerbo, bestiale e magnifico primo frutto letterario, più di ogni altro, comunichi a distanza con il più raffinato, onirico e celestiale epilogo morantiano di "Aracoeli". Tutte le volte è un grande onore, un incanto e una difficile e bellissima violenza leggere Elsa Morante.
Commenti
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Di questa autrice lessi molti anni fa "La Storia". Il libro non faceva per me. Da allora ho accantonato un questa scrittrice, anche se l'ho ritrovata in tanti libri che parlano di lei, primo fra tutti "MoranteMoravia" , una doppia biografia parecchio interessante.