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Ritrovarsi, riconoscersi, scegliersi
Scambio di emozioni, amicizia che è fratellanza, senso di appartenenza e istinto di fuga, reciproca solidarietà, accettazione, stupore, legami… è ciò che ho sentito durante questa lettura.
Dice Paolo Cognetti: “E’ un romanzo che parla di due amici e una montagna, che non è solo neve, dirupi, creste, torrenti, laghi e pascoli, bensì un modo di vivere la vita, un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura.”
Ambientazioni e personaggi mi sono apparsi ben descritti.
La linearità del racconto anche. Seguiamo i protagonisti da un certo momento nel loro tempo fino ad un altro. Di alcuni sapremo cosa accadrà, per altri possiamo solo immaginarlo.
L’incipit è dedicato a Giovanni Giusti, questo padre “ostinato” ad andare sempre più su, finché più su in montagna non si può più andare ma solo ridiscendere “a rotta di collo.” Nel dubbio prendere sempre la strada che sale, superare chi ci precede. Vietato fermarsi per bere, lamentarsi, riposarsi o per il freddo o la fame. La sua ossessione per i ghiacciai.
Pietro racconta che, avrà avuto sei o sette anni, una mattina si è fatto trovare vestito di tutto punto dal padre e gli ha detto “vengo con te.” O forse questo è ciò che al padre piace ricordare.
La madre è una figura che può apparire secondaria ma io l’ho amata molto. Lei che ama rendere accogliente persone e cose che la circondano. Quando arrivano nel paese di Grana ridà vita alla vecchia stufa non accesa da tanti anni, riempie di fiori le finestre, riaccende i fornelli e mette a scaldare il latte osservando, con una coperta sulle spalle a proteggersi dal freddo, insieme a Pietro, il latte che fuoriesce dal bricco, brucia i fuochi e il fumo che invade la cucina.
Dice che in montagna ciascuno ha la sua quota, quella si sente di star bene e dove può stare. Per lei sono i 1500 metri, dei rododendri, abeti, mirtilli, ginepri e caprioli. Per Pietro è un po’ più su, dove ci sono pascoli, erbe e torrenti. Per il padre ancora più su, verso i 4000 dove compaiono i ghiacciai, la vegetazione scompare e la montagna si fa ostile e aspra.
Bruno che guida le sue mucche verso la stalla con quel verso, dice eh, eh, eh, oh,oh,oh…sarà quel verso che aiuterà Pietro a ritornare verso casa, ritrovando l’equilibrio perso al crepaccio, e quello stesso verso se lo diranno reciprocamente, in futuro, per richiamarsi, per dirsi, io ci sono, anche io.
La loro amicizia ha un’intimità che non creerà loro mai imbarazzo, neanche quando Pietro gli si aggrappa sulla schiena, in moto, insieme.
Pietro e Bruno, è il 1984 e hanno 11 anni. Inizialmente si osservano, nessuno fa il primo passo. Fino a quella mattina a colazione quando Bruno gli dice seguimi, andiamo. E Pietro va.
Sembra non accadere nulla, ma invece di cose ne accadono tante. Ciascuno prenderà la propria strada.
Pietro che va, Bruno che resta.
Sul muro la cartina geografica attaccata con le puntine, tre colori tracciati con il pennarello. Nero per il padre, rosso per Pietro, verde per Bruno. A volte il nero cammina da solo, altre volte cammina con il verde, altre con il rosso, raramente camminano tutti e tre colori insieme. E’ un’immagine che dice tantissimo e che mi ha molto commossa. L’autore riesce a raffigurare perfettamente questo momento. Mi sembra di vederli, ora che leggo, camminare e camminare.
E’ un racconto di nostalgia e di rimpianti ma con leggerezza, c’è solo un velo di malinconia. Il tono non è mai sdolcinato, mai piagnucoloso, è una narrazione di suggestioni. Non ci sono pagine solo per riempimento, mi pare un racconto bilanciato e misurato che evoca ricordi per risvegliarne altri.
Tra questi due amici, Pietro e Bruno, c’è un filo che li unisce e si tende all’infinito quando Pietro va e Bruno resta. Ma poi lo stesso filo si riavvolge. Sempre a Grana, sempre in quelle montagne del Grenon che sono anche le montagne di Pietro. Si ritrovano sempre. Come se non si fossero mai lasciati davvero. Anche ora che di anni ne sono passati tanti sa quel loro primo incontro.
La storia delle otto montagne narra che il mondo è raffigurato come un cerchio, al centro un monte altissimo, il Sumeru, e intorno otto raggi che sono otto mari e otto montagne.
Ha imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne o chi è arrivato sulla vetta del Sumeru?
Buone prossime letture.
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Commenti
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Allora leggerò con piacere il tuo parere :)
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Un titolo che ho in lista da qualche anno.