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Quando la notte di Cristina Comencini
Due protagonisti assoluti, Marina, giovane madre del piccolo Marco, sposata con Mario e Manfred separato da Luna. Due vite complicate e chiuse s’incontrano e si aprono l’uno all’altra per un’attrazione misteriosa ed un’affinità intrinseca che si mostra in apparente ritrosia e avversione. L’autrice al di là dei dialoghi stringati ed essenziali, fa parlare le menti di Marina e Manfred in una sorta di inconsapevole telepatia che li fa comunicare a distanza; si leggono reciprocamente i pensieri misti a diffidenza e fastidio, l’uno conosce quello che solo lui/lei sa del proprio intimo agire e sentire. La montagna, il freddo, i paesaggi aspri e silenziosi come i caratteri dei suoi abitanti fanno da sfondo alla vicenda, lontane dai rumori frenetici delle città, sembra che le sofferenze si attutiscono o si esacerbano in ruvidezza e singolarità dei comportamenti. Manfred appare come il tipico montanaro “strano” chiuso nel suo bozzolo di vita scandita dalle azioni quotidiane in cui la scontrosità e le parole smozzicate e rade ne caratterizzano l’indole, esasperata dall’infanzia spezzata per aver vissuto due abbandoni femminili. Il rancore verso il genere femminile ne limita le prospettive esistenziali donandogli una corazza che difficilmente si lascia scalfire, ma quando arriva Marina una crepa scalfisce le sue difese così ostinatamente costruite. Marina vive una maternità sofferta ed inconfessabile, cerca di controllare la sua mente moltiplicando le attenzioni verso il figlioletto e contrastando un’oscura e insopprimibile inadeguatezza di madre che la colpevolizza e la tormenta. Le fragilità e le contraddizioni di due animi si rivelano a ciascuno e in un tempo infinitesimale a fronte di un’intera esistenza, quel desiderio estremo che provano l’uno per l’altro, trasporta Marina a cercarlo dopo anni, a rivedersi e ad avvicinarsi. Questo romanzo dallo stile asciutto e dalla prosa colloquiale, parla di sentimenti senza scadere nel sentimentalismo, certo non è tra i romanzi migliori dell’autrice, laddove il tunnel interiore dei personaggi era percorso in profondità e capace di rifrangere nel lettore coinvolgimento emotivo (vedi La bestia nel cuore), tuttavia si lascia leggere senza annoiare, diremmo, a mio modesto parere, senza infamia né lode.