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Un capolavoro
E’ uno dei libri più belli che io abbia mai letto nella mia vita, un’emozione assoluta e un capolavoro indescrivibile. Difficile infatti decidere da quale parte iniziare a raccontare questa meraviglia le cui 700 pagine scorrono tra la voracità del voler continuare a leggere ed il dispiacere perché ne rimane sempre meno. Confesso che non appena chiusa l’ultima pagina ho provato a ricominciarlo da capo. Lo farò sicuramente, però non subito. Si tratta infatti di un libro in grado di parlarci in qualsiasi momento della storia umana ed è bello lasciarlo sedimentare e poi riprenderlo.
Il titolo potrebbe essere fuorviante, può far pensare che la storia qui raccontata sia la storia dei grandi che l’hanno determinata. Fra l’altro il racconto è ambientato in un periodo denso, quello tra la nascita del fascismo fino ai primi anni del dopoguerra. La scelta della Morante è invece diametralmente opposta: la storia, quella vera, è la storia dei piccoli, degli umili, quella di chi subisce vicende molto più grandi senza poterle cambiare. O meglio: la Morante distingue tra la Storia con la maiuscola, riportata di tanto in tanto durante il libro in un corpo più piccolo e che aggiorna brevemente su quanto succede negli anni raccontati: è sostanzialmente una triste cronaca di guerre qua e là nel mondo con tutti i morti che si portano dietro. E poi c’è la storia, la vicenda narrata dal libro, quella delle gente comune che viene appena lambita dalle vicende politiche che sono troppo al di sopra di loro se non per i danni che la Storia con la maiuscola provoca.
Ecco quindi che la vicenda è quello di una madre, oscura insegnante elementare di origine ebrea, Ida, rimasta vedova con un figlio, Nino, bulletto di periferia, e che a causa della violenza subita da parte di un soldato tedesco rimane incinta di un secondo figlio, Giuseppe, di fatto sempre chiamato Useppe con la sua stessa pronuncia infantile e fatto nascere con l’aiuto di una levatrice ebrea nel ghetto. Non sono molti altri i personaggi che ruotano attorno a questa famiglia. Il principale è sicuramente Davide Segre, di famiglia borghese scappato fortunosamente alla fucilazione in quanto evreo: un altro emblema di figura umile e debole che esprime compiutamente il pensiero della Morante, ne è il primo portavoce all’interno del libro.
Ida è premurosa e protettiva verso i figli, attenta ai bisogni primari, così difficili da soddisfare in tempo di guerra, fa di tutto per riuscire a sfamare i figli anche quando la fame è stata sofferta da tutti o quasi in Italia, soffre in silenzio per la paura per se stessa e la sua famiglia e per quel che vede succedere intorno. Così come soffrirà per le scelte del figlio maggiore.
Nino lascia presto la scuola, è un ragazzo sempre allegro e decisamente scapestrato che passa dalle fila dei giovani fascisti a quelle della resistenza (con lo pseudonimo di Assodicuori) per dedicarsi poi ad attività illecite come il contrabbando.
Useppe è un bambino che rimane nel cuore: piccolo e delicato, due enormi occhi azzurri in un corpicino che fatica a crescere. L’epilessia di cui è affetto, che si manifesta dopo i primissimi anni, all’epoca fa paura, il suo sorriso aperto e cordiale è sempre pronto a cedere il passo ad una rabbia inspiegabile. Useppe è uno dei più bei bambini mai raccontati nella letteratura.
Poi ci sono gli animali: i cani, prima Blitz, rimasto sotto le macerie della casa di famiglia e poi Bella che diviene amica indivisibile di Useppe e che è umanizzata all’estremo. Ma il racconto è popolato di animali descritti tutti con attenzione: gatti, canarini, cicale, un coniglio e persino un criceto, tutti funzionali alla storia.
Ida, Nino e Useppe (aggiungerei anche il cane Bella, che seguirà il destino della famiglia), Davide, sono personaggi splendidi che rappresentano l’umanità intera e portano il peso del male che pure non hanno commesso. Ida ha vissuto la fame, la paura, l’essere sfollata, la povertà estrema, il dolore. Useppe apparentemente ha vissuto tutto come un gioco, ma porta su di sé le cicatrici degli abbandoni e di ciò che ha solo intravisto sulle copertine dei giornali in edicola.
Arrivati alla fine della guerra e alla liberazione la storia apparentemente si ferma, quasi a voler riannodare tutti i fili del racconto attraverso, soprattutto, il lunghissimo soliloquio di Davide Segre, che mai come in questa parte rende il libro una dichiarazione di pensiero sul potere ed i suoi mali, sul dolore, sugli errori del mondo. Qualcuno potrebbe ritenere questa parte troppo lunga: io l’ho trovata splendida per il dolore e la rabbia che riesce ad esprimere e che lascia nel lettore.
Una piccola storia, in fondo, ma che è stata la storia di tutti. E’ un libro sul dolore dell’uomo che vuole parlare a tutti, anche agli analfabeti, come recita l’incipit della Morante. E la scelta stilistica è molto precisa. La Morante ha un passo narrativo da grande romanziera: non c’è fretta nel racconto, c’è respiro, c’è l’andamento di chi sa come raccontare.
La Storia è un libro che non si dimentica, che arriva all’anima illuminandola e che andrebbe letto almeno una volta nella vita. E’ un romanzo immortale, ed Elsa Morante una scrittrice grandissima che non ringrazieremo mai abbastanza per averci regalato questo meraviglioso interrogativo con la risposta al suo interno alla storia dei grandi che è il suo romanzo. E’ un saggio in forma di romanzo, perché i personaggi si muovono nell’unico modo possibile, quello che risponde al pensiero dell’autrice, come molti grandi romanzi di scrittori con forte personalità e convinzioni.
Chi non lo ha ancora fatto legga La Storia: regalatevi almeno una volta nella vita tanta bellezza.
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