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Il diavolo sulle colline
 
Il diavolo sulle colline 2024-05-28 20:11:37 Calderoni
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Calderoni Opinione inserita da Calderoni    28 Mag, 2024
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Tensione, sospetto, cose non dette

Il diavolo sulle colline è uno dei romanzi di Cesare Pavese che ho più apprezzato, lo pongo alla pari de La luna e i falò, assoluto capolavoro della narrativa dell’autore piemontese. Il diavolo sulle colline è stato finito nell’ottobre 1948 ed è un libro ricco di tensione, sospetto e cose non dette. Insomma, c’è tutto Pavese. Dialoghi allusivi, mai limpidi e lineari, molto franti, spezzati e ondivaghi. La notte domina sul giorno, soprattutto all’inizio del romanzo. Dalla Torino notturna si passa alle colline, dalla città si passa alla campagna. Non mancano i riferimenti all’opposizione tra mondo contadino e mondo borghese. E poi, a differenza di molti altri romanzi di Pavese, si percepisce un pathos narrativo che frizza e lascia scorrere la pagina. Il romanzo è breve (nell’edizione letta 124 pagine) ma la spartizione in capitoli è incessante: ce ne sono ben trenta per una media di quattro pagine per capitolo. Tutto questo aiuta la lettura. Pavese non è facile da leggere e capitoli troppo lunghi rischiano di essere difficilmente decifrabili: ogni aspetto di un libro di Pavese ha bisogno del suo spazio distinto dal resto.
Come detto, c’è pathos narrativo perché la trama è più forte che in quasi tutti gli altri romanzi di Pavese. Sono tre i protagonisti, tre ragazzi: colui che narra in prima persona, Pieretto e Oreste. Sono tre universitari: il protagonista e Pieretto studiano legge, Oreste medicina; quest’ultimo è figlio delle campagne ma sogna di diventare medico. Nella vicenda si inserisce prepotentemente un altro ragazzo: il Poli. È lui il motore della vicenda. Viene incontrato in una delle tante notti vissute in giro per Torino dai tre amici. È un Poli confuso, quasi fuori dal mondo che viene riportato nella realtà da un urlo ferino, bestiale, quindi inumano. Poli fa uso di sostanze, eppure viene da un’agiata famiglia. La sua infanzia e la sua adolescenza lo segneranno per sempre. Serve e governanti, che gli hanno ronzato intorno fino ai tredici e ai quattordici anni, l’hanno educato a «ogni sorta di sciocchezza, di cui la principale era che ricchi si nasce e ch’era giusto che le donne facessero la riverenza alla mamma». Proprio per questa ragione una serva se l’era preso nel letto non ancora dodicenne e gli aveva succhiato il midollo per mesi, poi non contenta lo portava dentro il bosco e ci giocavano a pigliarsi, tanto che lo stesso Poli divenne libertino ancor prima di essere uomo. Per lui la vita fu ben presto sonniferi da rubare alla madre per darsi alla droga, masticare tabacco, schiaffeggiare le serve per avere il pretesto di abbracciarle e farsi stringere. E sono proprio le donne che si intrecciano alla storia di Poli a far procedere la vicenda del protagonista, di Pieretto e di Oreste.
Le due donne che legano il proprio nome a Poli sono Rosalba e Gabriella. Rosalba è il vizio, è la pazzia, è l’amante. Poli entra in scena nelle notti di Torino con Rosalba, ma la storia finisce malissimo: Rosalba spara a Poli che resta moribondo dopo aver preso una pallottola in un fianco, sfiorando il polmone. La loro è un’avventura losca, illogica, anche perché Poli ha una moglie: Gabriella. L’incontro con il protagonista, Oreste e Pieretto appare come una liberazione per Poli, che di colpo si risveglia dal torpore, si scuote dalle droghe e ritorna al Greppo. Ad aspettarlo, come sempre, c’è Gabriella che, nonostante tutto, vuole bene a Poli. Non lo abbandona, sebbene possa concedersi anche ad altri nel contesto del Greppo (vedi Oreste). Tuttavia, l’amore, quello vero e puro, non si dimentica nemmeno nelle difficoltà altrui e Gabriella lo dimostra.
Poli, il diavolo, nelle sue fragilità e nei suoi annebbiamenti dovuti alla droga e all’alcol non manca di parlare di Dio. «Io chiamo Dio l’assoluta libertà e certezza. Non mi chiedo se Dio esiste: mi basta esser libero, certo e felice, come Lui. E per arrivarci, per essere Dio, basta che un uomo tocchi il fondo, si conosca fino in fondo» riferisce Poli. E Poli, un po’ come Pavese, il fondo l’ha toccato. È tisico, scopriamo in fondo che sputa sangue, può apparire pazzo ma era un uomo malinconico, solo, di quelli che a forza di pensarci sanno già prima quel che gli deve toccare. Ma ha un vantaggio rispetto a molti altri: ha comunque Gabriella al suo fianco, anche nell’inverno della vita. A un certo punto il protagonista, al volgere dell’estate, si fa nostalgico: «Che cos’è questa villa nelle sere d’inverno? Mi prese una pena improvvisa, uno sconforto, all’idea che l’estate sul Greppo, l’amore di Oreste, quelle parole e quei silenzi, e noi stessi, tutto sarebbe passato, tra poco, finito». È vero quell’estate stava andando in archivio, così come l’avventura del protagonista, di Pieretto e Oreste al Greppo, le luci della festa si stavano spegnendo. Eppure Gabriella sarebbe rimasta al Greppo con il suo Poli.
Come ne La luna e i falò è forte la componente delle radici, quelle che ci legano inevitabilmente a un luogo del mondo. Ognuno di noi affonda la propria identità in una determinata realtà e questa resterà per sempre. Memorabile, in tal senso, è l’incipit de La luna e i falò, una delle pagine più vere ed emozionanti della nostra letteratura. Ne Il diavolo sulle colline si parla di origini grazie a Oreste, nel momento in cui il protagonista e Pieretto decidono di andare proprio nelle terre natie di Oreste durante l’estate. «Per Oreste erano luoghi familiari, c’era nato e cresciuto, dovevano dirgli chi sa che. Pensai quanti luoghi ci sono nel mondo che appartengono così a qualcuno, che qualcuno ha nel sangue e nessuno altro li sa» afferma la voce narrante. Poi, dai luoghi di Oreste si passa a quelli del Greppo, quindi a quelli di Poli. E l’analisi prosegue. «Penso sempre – dice il protagonista – che vederti in questo luogo dove sei stato bambino, deve farti un certo senso. Per te, qui tutto deve avere una voce, una vita sua... Questo misto di abbandono e di radici, non è semplice campagna, è qualcosa di più».

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Commenti

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Bentornato, Andrea, con questa tua interessante recensione!
Anch'io ho apprezzato parecchio questo breve romanzo. M'è parso che qui il mondo letterario di Pavese ci sia tutto.
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