Dettagli Recensione
Cosa resterà di noi
«[…] Il coraggio non conta, il coraggio arriva nel momento stesso in cui tutto accade.»
Per Napoleon motivare le persone, spronarle a farcela, è un qualcosa di naturale. Quante ne ha “salvate”, quante ne ha incitate. Tuttavia, per lui è diventato impossibile andare avanti, eh sì, perché proprio lui che motiva e sprona gli altri, vive senza stimoli e ha deciso di farla finita. La sua vita non ha più ragion d’essere. Ecco allora che dopo quella che considera essere la sua ultima serata, decide di buttarsi. Le acque sotto di lui sono nere e austere, New York sprofonda nelle sue luci. È in questo frangente che sopraggiunge un uomo a bordo della sua station wagon. Sa benissimo quali sono le intenzioni di Napoleon e gli propone un patto: sette giorni per decidere se tornare indietro o meno, sette giorni per decidere se rendere definitivo quel salto o se tornare alla vita ma con nuovi occhi.
Napoleon è titubante ma alla fine accetta. Come lui accettano anche Emily, ex ginnasta olimpica, lesa da un incidente che l’ha costretta alla carrozzina e Aretha, poliziotta dal carattere forte che però ha perso quel qualcuno che nella sua vita faceva la differenza. Adesso che ha ricominciato a dormire sa che il dolore sta venendo meno diventando mera consuetudine, non può accettarlo. Quel dolore era l’unica cosa che la teneva ancora ancorata a quella perdita. Una volta riuniti i tre scoprono che la squadra è composta anche da un altro membro, Daniel, piccolo divo della pubblicità di un brand di aranciate in sovrappeso e con diabete al seguito. Quattro anime raggruppate da un uomo sconosciuto e in apparenza privo di nome e identità ciascuna delle quali con un motivo specifico e ben delineato per decidere di farla finita, per essere disperati. Ma cosa lasciano davvero? Cosa accadrà quando non ci saranno più? Cosa si perdono e quale sarà la reazione di amici e parenti alla loro scomparsa?
«Le persone. Penso sia questa la cosa più importante che vi perderete, – sentenzia l’uomo. – Sono le persone a rendere il futuro imprevedibile e affascinante, e lungo la vostra strada ce ne sono un sacco che vi aspettano.»
“Il primo giorno della mia vita” di Paolo Genovese, opera dalla quale è stato tratto anche l’omonimo film con l’interpretazione magistrale di Toni Servillo, è un titolo con cui lo scrittore torna ad affrontare le tematiche metafisiche già conosciute in “The place”. Ancora una volta i protagonisti tornano a viaggiare tra tempo e luoghi e a riflettere sul senso della vita e sul malessere di questa.
Quel che ne emerge è uno scritto dallo stile fluido e magnetico che in tutta la sua forma sa di sceneggiatura, non ne stupisce, dunque il naturale adattamento. I personaggi sono tutti ben costruiti, le vicende si susseguono rapide, il lettore è costantemente incuriosito. Cerca quel finale che possa spronare a trovare quei perché che spesso attanagliano nel quieto vivere.
“Il primo giorno della mia vita” non sarà certo per qualcuno il romanzo più originale di questi anni soprattutto se si considera il proliferare di scritti in questo senso, ma non difetta di quei presupposti capaci di donare al lettore ore liete e di riflessione. Basta semplicemente dargli una possibilità. Forse non arriverà subito ma a distanza di giorni dalla lettura sarà naturale tornare a pensarvi e riflettervi.
«È come quando arrivi al termine di un viaggio: hai sempre l’impressione che avresti potuto fare di più, utilizzare meglio il tempo. E ora che il tempo è quasi finito, quel poco che rimane Aretha non vuole perderlo, e tenta il tutto per tutto.»
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