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È possibile rinnegare se stessi?
Può una donna essere costretta a rinnegare se stessa, le proprie origini, la propria religione, il suo aspetto fino al suo stesso nome? A questa domanda cerca di dare risposta soprattutto la storia della prima delle tre donne protagoniste di Ti rubo la Vita.
Nel 1936 Miriam, donna araba sposata con Ibrahim e con una figlia piccola, Yasmin, si trova ad assistere al massacro dei padroni di casa, ebrei, uccisi brutalmente nel cortile della loro stessa casa insieme alla figlioletta, più o meno della stessa età di Yasmin. Superato lo sgomento iniziale Ibrahim, che ha alle spalle una storia di fallimenti professionali e che aveva in essere un contratto di acquisto merci con il mercante ebreo Azoulay matura la decisione di assumere l’identità dell’ebreo, di fingere adesione alla religione ebraica e di trasformarsi anche nell’abbigliamento e nell’aspetto al mercante ucciso. Tutto questo deve però avvenire anche da parte della moglie. Miriam però non vuole rinnegare se stessa e cercherà di opporsi per quanto le è possibile a questa trasformazione. Alla fine non riuscirà a sopportare il peso della negazione di sé stessa mentre la figlia crescerà senza ricordare chi è stata.
La seconda delle tre donne di cui il libro narra è Giuditta, ebrea originaria di Ancona che si trova a vivere nel periodo di inizio della dittatura fascista. Espulsa da scuola, cacciata dalla squadra di nuoto nella quale eccelleva, con la madre morta ed il padre al confino, Giuditta e suo fratello dovranno cercare di sopravvivere in un mondo sempre più ostile. Scapperanno, continueranno a nascondersi tra mille stratagemmi pur di evitare la cattura insieme al ragazzo di cui Giuditta è innamorata, Giovanni, cristiano e che ha lasciato l’esercito.
La terza storia ha come protagonista Esther, figlia di Giuditta, ebrea per nascita e cristiana di formazione, che si sente in un mondo di mezzo tra ebraismo e cattolicesimo senza essere compiutamente né l’uno né l’altro. Riceve però una strana offerta di matrimonio previa firma di un contratto da parte di un ricco avvocato ebreo che desidera una moglie ebrea che gli consenta di creare una famiglia e di avere figli. Esther, pur tra mille dubbi, si lancia nell’avventura di questo strano matrimonio combinato.
Al termine del libro questa terza storia si ricongiungerà con la prima creando un rapporto circolare tra le tre vicende.
Il libro è molto scorrevole, avvincente soprattutto nella prima parte, e lavora molto sul sentire di donne che per motivi diversi non riescono ad essere del tutto o in parte ciò che vorrebbero. Sono donne forti, determinate, che sanno chi sono e vedono per sé stesse un avvenire che non sarà quello che la sorte ha preparato per loro. Eppure lottano con tutte le loro forze per realizzare non un sogno ma semplicemente la loro vita.
La prima delle tre storie è sicuramente quella che mi ha coinvolto di più e che mi è parsa avere più potenza narrativa. Di fatto però più che la storia di Miriam il libro racconta la storia di Azoulay, suo marito, uscendo quindi un po’ dal sentiero narrativo. La vicenda è interessante, bella e potente benché un po’ già sentita, ma si perde la centralità della figura femminile che in questa prima storia rimane decisamente sullo sfondo.
Giuditta, protagonista della seconda storia, è una donna forte, la vicenda però, è dal punto di vista di piacevolezza un po’ sfilacciata. Questo non vuol dire che perda di capacità di tenere avvinto il lettore, è un fatto però che si arrotoli un po’ su se stessa.
La terza storia, quella di Esther, lascia intendere al lettore un finale che sarà poi diverso da quanto immaginato ma che forse dà un senso alla storia nel suo insieme. La scrittura è fluida e sempre molto piacevole. Il libro si legge volentieri.
Ho avvicinato questo romanzo dopo aver amato molto il successivo della stessa autrice (Vieni tu giorno della notte) e devo dire che mantengo la mia preferenza per l’ultimo. Cinzia Leone è comunque un’autrice da seguire per capacità narrativa e stilistica, sperando che la maturità della sua ultima opera ci regali in futuro ancora buoni frutti.