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Poema d'amore alle città
“Che cos’è oggi la città per noi? Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città.” Immedesimandosi nel celebre Marco Polo, Calvino immagina di trovarsi al fianco dell'imperatore Kublai Khan. Il sovrano tartaro chiede al suo interlocutore di intrattenerlo con i suoi racconti di viaggio, dimostrando particolare interesse verso la descrizione delle città da lui visitate. Com'è ovvio quando c'è di mezzo Calvino, il resoconto dell'esploratore veneziano prenderà una piega ben diversa rispetto alle aspettative del Khan e dello stesso lettore. Quelle descritte dall'autore, infatti, sono città invisibili, oniriche, immaginarie, città che hanno nomi di donna e che non sono riconducibili a quelle reali, se non per qualche aspetto che può richiamarne alla memoria qualcuna di quelle esistenti. Città spesso fuori dallo spazio e dal tempo, che Calvino divide in una serie di bizzarre categorie associate a sentimenti, a luoghi, ad aggettivi, a sostantivi, che a volte si ripetono e che danno il titolo ai vari capitoli, ognuno dei quali ha l'obiettivo di generare uno spunto di riflessione. La stessa città può assumere aspetti diversi a seconda di chi la guarda. Quella vista da chi ci entra per la prima volta non è la stessa che vede chi ne è appena uscito, come diversa ancora può essere per chi ne è talmente affascinato da perdervisi o per chi semplicemente ne dà uno sguardo superficiale di passaggio. Avremo quindi ora le città e il desiderio, ora le città e gli occhi, passeremo dalle città sottili alle città e i morti, visiteremo le città continue e arriveremo fino alle città e il cielo, in un racconto variopinto, poliedrico, coinvolgente, fantasioso come solo Calvino può essere. Scritto in maniera saltuaria, un pezzo per volta, nel corso di diversi anni, questo libro subisce le influenze dei diversi stati d'animo dell'autore, delle sue letture, dei suoi spostamenti, dei discorsi fatti con gli amici, quasi fosse un diario su cui riversare sensazioni, stati d'animo, ispirazioni, fantasie, trasformando tutto ciò in quei luoghi immaginari che diventano le città invisibili. "...Dunque è davvero un viaggio nella memoria, il tuo! – Il Gran Kan, sempre a orecchie tese, sobbalzava sull’amaca ogni volta che coglieva nel discorso di Marco un’inflessione sospirosa. – È per smaltire un carico di nostalgia che sei andato tanto lontano! – esclamava, oppure: – Con la stiva piena di rimpianti fai ritorno dalle tue spedizioni! – e soggiungeva, con sarcasmo: – Magri acquisti, a dire il vero, per un mercante della Serenissima! Era questo il punto cui tendevano tutte le domande di Kublai sul passato e sul futuro, era da un’ora che ci giocava come il gatto col topo, e finalmente metteva Marco alle strette, piombandogli addosso, piantandogli un ginocchio sul petto, afferrandolo per la barba: – Questo volevo sapere da te: confessa cosa contrabbandi: stati d’animo, stati di grazia, elegie! Frasi e atti forse soltanto pensati, mentre i due, silenziosi e immobili, guardavano salire lentamente il fumo delle loro pipe. La nuvola ora si dissolveva su un filo di vento, ora restava sospesa a mezz’aria; e la risposta era in quella nuvola. Al soffio che portava via il fumo Marco pensava ai vapori che annebbiano la distesa del mare e le catene delle montagne e al diradarsi lasciano l’aria secca e diafana svelando città lontane."
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Non ho letto il libro; penso non sia molto nelle mie corde.