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Un giorno perfetto di Melania Mazzucco
L’elemento distruttivo campeggia e dilania alcuni dei personaggi, la tensione accomuna e unisce il lettore e sullo sfondo una Roma vista dagli occhi di chi la ama e la vive. Tutto accade nell’arco di 24 ore, in una notte di maggio, a Roma, un giorno che per tutti i protagonisti della pietosa storia doveva essere perfetto e compiuto, in un appartamento di via Carlo Alberto riecheggiano degli spari, si sentono delle grida d’aiuto. Il romanzo inizia dalla fine e come uno squarcio che si apre vivono a ritroso Emma Tempesta separata dal poliziotto scelto Antonio Bonocore e i due figli, l’adolescente Valentina e il piccolo Kevin, dall’altra barricata l’onorevole avvocato Elio Fioravanti a cui Antonio fa da capo - scorta, la seconda giovane moglie Maja, il figlio del primo matrimonio Ari - Zero, il nome che rispecchia il nichilismo e l’anarchia del suo carattere e la piccola Camilla. Come figure marginali, ma non per questo meno importanti, il professore d’italiano di Valentina e la madre di Emma. I destini degli uni s’intersecano con i destini degli altri in un apparente e casuale gioco di vite incrociate e sospese. Sentimenti di fondo, una profonda sofferenza e un’estenuante lacerazione degli animi che non lasciano spazio alla speranza se non per intermittenti barlumi di luce. Grande l’introspezione psicologica dei personaggi, Emma ritratto di donna sensuale e ferita più volte dalla vita, Maja, delicata e preziosa che pur sente un’enigmatica attrazione per Aris – Zero, lontano dal suo patinato e ipocrita mondo alto-borghese; Antonio che come un animale ferito, nella sua nebulosa sofferenza cova la più inammissibile vendetta trasversale e innaturale e l’onorevole Fioravanti che sente pesare amaramente come un totale fallimento e la sua carriera politica giunta al capolinea e la sua identità di essere. Grande spazio ai dettagli, ai particolari dell’anima e del cuore. Roma bella suggestiva e grandiosa, carnale, sfatta, vista attraverso i finestrini della metropolitana, dai quartieri esclusivi tra palme e magnolie di ville e giardini privati ai palazzoni di periferia come torri di cemento armato scrostato, ultimi avamposti della città fra un prato punteggiato di panchine divelte e una brughiera incolta. Edifici simili a caserme o prigioni dalle verande abusive, dalle padelle di parabole e panni stesi ad asciugare sui balconi. Sul filo di una catastrofe imminente si dispiega la struttura narrativa come un’erosione mentale e fisica, l’autrice racconta paure e infelicità, stati d’animo stratificati e mai in superficie in uno stile fluente di parole dense e forti che lasciano il segno.