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Meraviglia a singhiozzi
«[…] Corro per il campo in cerca della palla e desidero per la prima volta da quando sono nata andare avanti e non fermarmi e oltrepassare quelle sbarre grigio ferro e continuare a dare calci per far rotolare il pallone un po’ più in là, per vedere quanto “in là” c’è al mondo, quanto è spaziosa la prigione dei mica-matti.»
Quando conosciamo Elba sappiamo solo che è nata in manicomio perché figlia di una donna ricoverata perché considerata malata di mente. È una bambina particolare che cresce in un contesto particolare e che aspetta la madre. Siamo all’inizio degli anni ’70, è un periodo storico che vede l’introduzione della legge Basaglia, che si accavalla e si accoda a un momento della nostra Storia in cui bastava poco per finire catalogati tra persone non sane di mente. La stessa madre di Elba finisce in manicomio per lo stesso motivo, è una tedesca rifugiata politica che alla fine non riconoscerà nemmeno più la figlia a causa dei troppi elettroshock subiti.
Elba ha molta fantasia, è molto intelligente e non è matta. Dà soprannomi a tutto e tutti in quel del “mezzomondo”, basti pensare alle “suore culone” o a “Lampadina”, l’infermiere che pratica l’elettroshock, vive nella speranza e la sua vita cambierà davvero quando tra i medici entrerà il dottor Fausto Meraviglia. Sarà lui a rendersi conto dell’anomalia di una bambina sana in un luogo di confinati e quando i manicomi saranno chiusi, ecco che l’uomo la prenderà in casa con sé crescendola e facendola studiare. Se per il dottore ella è la figlia che si è scelto, per la bambina egli è il padre e la famiglia che non ha mai avuto. È un uomo non immune da difetti, anzi; è un donnaiolo, un bugiardo, spesso è incoerente ma è anche un uomo di grande umanità.
«[…] Forse festeggerò domani il nuovo anno andando a spasso per i campi elisi, in mezzo alle anime smarrite come me, che non si sono accorte di essere state truffate e di aver contribuito in qualche modo alla loro stessa truffa. Insieme a quelli che hanno goduto troppo presto per una vittoria che non c’è stata mai, per un rigore mai tirato.»
Elba sente il dolore per l’assenza di una madre che gli è stata negata ma lo sente anche nei confronti di tutte quelle figure femminili che non hanno potuto vivere una vita normale, a cui quest’ultima è stata per qualsivoglia motivo sottratta. Ed è anche per questo che la Ardone, tramite la sua protagonista, cerca di rivolgersi a un pubblico prevalentemente femminile.
Il racconto si divide in sezioni e si avvale del canonico salto temporale per svilupparsi. Questo non sempre rende favorevole la lettura, soprattutto quando a tornare in scena è la figura del Dottor Meraviglia che ora è giovane, ora è anziano. La frammentarietà rende lo scritto un po’ un singhiozzo continuo e non favorisce l’empatia.
Al modesto avviso di chi si scrive e fermo restando che la lettura è soggettiva, c’è anche una problematica di obiettivi disillusi e traguardi non raggiunti. Se vuoi parlare di manicomi, malattia mentale, Legge Basaglia devi anche un minimo addentrarti nel profondo di quello che è la tematica e qui, questo aspetto, non c’è. Si resta molto sul superficiale, quasi come se si volesse narrare una favoletta di un tempo che è stato e fine. Certamente in un romanzo di narrativa non è richiesto l’approfondimento di un saggio ma ci dev’essere comunque coerenza tra il narrato e gli intenti, cosa che in “Grande Meraviglia” non c’è.
C’è tanta discontinuità, tanta disarmonia tra queste pagine. Si fatica ad empatizzare con i personaggi, a farli propri. Il lettore resta un po’ distaccato da quel che viene proposto, è arenato dalla frammentarietà che si trova davanti ed è stordito dal quantitativo di frasi fatte. Lo stesso Meraviglia resta un personaggio sulla superficie, uno di quei volti che vedi ma che non ti prendono per mano trasportandoti in un caleidoscopio di emozioni. Elba non è da meno.
Un libro tanto, troppo commerciale. A maggior ragione per il tema che tratta, tema molto gettonato, tema trattato in tanti modi da altri scrittori, tema che merita un qualcosa di più. Si fatica sinceramente tanto a leggere un romanzo che per come è impostato si dovrebbe ultimare in poco più di una giornata.
«[…] L’ho carezzata senza rimproverarla: ho capito che dopo tanta prigionia aveva bisogno di costeggiare i limiti della sua libertà.»