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Lucia, Amanda e Doralice
«[…] Ho addomesticato la paura che avevo all’inizio per lei. Un posto che aveva tanto desiderato non poteva farle del male.»
Nota al grande pubblico per il suo “L’Arminuta”, Donatella Di Pietrantonio torna in libreria con “L’età fragile”, uno scritto che tra i tanti intenti si propone anche di sensibilizzare il lettore su un tema oggi molto attuale; il femminicidio. Per farlo ella torna indietro nel tempo, ci riporta al 1997 e più precisamente nella sua terra dove si perpetrò il delitto del Morrone. Due ragazze, mentre erano in escursione sulla Maiella, furono trucidate.
Ma procediamo con ordine. Conosciamo in primis Lucia e Amanda, una madre e una figlia che vivono in un paesino vicino Pescara e che nella finzione narrativa si fa protagonista del locus commissi delicti di un tempo trascorso. Sappiamo che Amanda si è trasferita nel milanese, che sta inseguendo il sogno della grande metropoli, che sta studiando per il suo futuro. Sappiamo ancora che tra Lucia e suo marito le cose non vanno più e che la separazione ufficiale è ormai l’ultimo tassello. La madre vorrebbe proteggere la figlia, tenerla al riparo, ma non può. C’è un momento nella vita in cui i figli devono essere lasciati andare, devono crescere, cadere e sbagliare ma anche imparare a rialzarsi. Siamo a ridosso dello scoppio del periodo pandemico e dei vari lockdown quando Amanda riesce per un soffio a prendere il treno che la riporta a casa. Con sé porta tutto, come se fosse un ritorno definitivo, tranne i libri. Lucia cerca di leggere oltre, di capire cosa si cela dietro il suo mutismo, dietro quel chiudersi in se stessa. Intuisce che qualcosa è accaduto ma non riesce a percepirne la vera portata, la vera devastante conseguenza. Amanda è taciturna, si trova un lavoretto in zona, trascorre il tempo chiusa in camera senza rispondere al telefono.
«[…] Nel rispetto della sua libertà, le sono mancata quando aveva bisogno di me.»
A questa prima narrazione del presente, si aggiunge quella del passato. Sotto a quello che è conosciuto come il Dente del Lupo, un terreno che appartiene loro e che un tempo ospitava un campeggio, tanti anni fa è successo un qualcosa di terribile. Oggi è oggetto di speculazione edilizia, ma quel che è stato non può essere dimenticato. Torniamo così agli anni della giovinezza di Lucia, conosciamo Doralice e le altre due ragazze, Tania e Virginia. Ricostruiamo tra presente e passato quello che è stato, dalla scomparsa, al delitto, alle udienze con la sopravvissuta.
«[…] La ferita era superficiale, si sarebbe presto rimarginata. Non vedevo il danno più duraturo, la fiducia nel mondo che le avevano strappato insieme alla borsa.»
E forse è vero, la nostra unica verità sono proprio le ferite. Ferite che sanguinano oggi, che sanguinano domani perché forse non è possibile una vera guarigione. “L’età fragile” è uno scritto che trasporta in una dimensione narrativa nuova della Di Pietrantonio, è anche uno scritto coraggioso per i temi che affronta e quel che si prefigge. Si noti bene che il libro non si prefigge di trattare nel dettaglio le fasi del delitto del Circeo, ne prende spunto, ricostruisce una storia che vi si ispira per molteplici aspetti, ma non si tratta di una cronaca dettagliata dei fatti.
Manca qualcosa, qualcosa sfugge nella dimensione complessiva a livello di emozione, forse perché nella totalità tende in parte a perdere il centro, ma nell’insieme “L’età fragile” è un romanzo che può offrire molto a livello di riflessione.