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Abel Crow
«Lo facevamo in silenzio nelle grandi solitudini che dicevo, ai bordi del mondo conosciuto: così lontani da tutto che noi eravamo tutto, e il nostro nulla l’unica notizia.»
Il suo nome è Abel Crow ed ha ventisette anni. Tutto quel che sa lo ha imparato da suo padre, il Maestro, e si riduce in un gesto semplice: sparare. È un tutto e un niente ma in cui eccelle grazie al Mistico, un colpo che non ammette errori e che vede l’incrociare di due pistole colpendo il bersaglio di sinistra con la destra e viceversa e disegnando due segmenti pulitissimi e perfetti. È anche il suo colpo preferito oltre che uno sparo perfetto.
Abel deve però ricostruire una vita e una geometria ben più complessa che lo porta a indagare sul suo destino sino a ricomporlo e scoprirlo forse per la prima volta. Le pistole potrebbero non essere il suo divenire ma sarà solo dopo l’incontro con la bruja che egli arriverà a realizzare che ancora non è nato, che deve nascere davvero.
L’Ovest è un luogo di polvere e ombre. È un luogo dove vivono ingranaggi di bussole e orologi rotti, è un luogo dove il fischio di un fucile è eco persistente. Il presente si mixa con il futuro anteriore, il passato remoto non è più solo passato perché nel fondersi dello ieri e dell’oggi delinea una dimensione metafisica che porta il lettore a viaggiare nel tempo e nello spazio, a scandire il ticchettio dell’orologio rotto e a restare sospeso con esso.
«[…] Perché, gli spiego, il nostro mondo, di noi due, è solo un frammento tenuto insieme non da una mia volontà, o sapienza, ma dalla presenza di quell’uomo che ancora per un po’, non so quanto, conosce ciò che ignoro ed è per me la pietra solida su cui appoggiare la mia immaginazione mentre costruisco l’uomo che sarò.»
Molteplici sono le tematiche trattate tra queste pagine, tematiche che sono care all’autore e che già spesso, in passato, sono state riproposte. La sensazione leggendo questo western metafisico è di essere dentro al testo, di essere materia stessa di questo. Il tempo è l’altro baricentro che conduce nello spazio, governandolo e plasmandolo a sua immagine e somiglianza.
E tanti sono ancora i personaggi costruiti dall’autore e che portano Abel Crow a comprendere il bisogno di una nuova consapevolezza. Perché come anticipato, Abel non è ancora nato e solo osservando, uscendo da quel che è sempre stato, riscoprendosi anche per mezzo del volto della donna che ama e che possiede spesso con violenza non consapevole, potrà davvero assumere il suo posto nel mondo.
«Per il resto, quando cerco un senso a tutto questo finisco per rivedere una bruja che, sulle colline, mi guarda, ride e poi dice: sarà molto doloroso, ma un giorno, Abel, te lo prometto, nascerai.»
L’opera ultima di Alessandro Baricco si dipinge negli occhi del lettore in modo chiaro e cristallino. Volontariamente vengono a quest’ultimo lasciati spazi vuoti, in tal modo egli può interrogarsi, porsi domande, cercare risposte. In questi spazi di vuoto regna il silenzio e da qui l’interpretazione più intima di chi legge.
Se cercassimo di circoscrivere “Abel. Un western metafisico” non ci riusciremmo perché questo è tridimensionale, filosofico, usa l’espediente del western per delineare un qualcosa di più grande. Il risultato è un testo che non è solo un libro, che non è un romanzo, che è tempo che si scandisce e che trattiene come se il lettore vivesse una sorta di dilatazione temporale, di sospensione di questa.
Ecco allora che questo romanzo, iniziato diversi anni fa da Baricco, interrotto prima per il Covid-19 e poi dalla scoperta della patologia leucemica, giunge in profondità. Respinge, trattiene. Incuriosisce, affascina. Appaga e riempie. Un Baricco che fa sua ancora una volta la parola e crea una multidimensionalità unica. Da leggere.
«C’è da rimanere secchi dalla gratitudine e dalla consolazione. Voglia questo istante non abbandonarmi mai, e diventare parte di me, vita contro la morte, sangue sotto la pelle.»