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Un racconto che fa riflettere
Accabadora si potrebbe definire una favola dai contorni noir ambientata in una Sardegna di metà 900 molto ben caratterizzata dall’autrice. Soreni, paesino dove hanno luogo i fatti del racconto, ha i contorni tipici che potrebbero essere propri di un qualsiasi paesino del sud italia: un ecosistema chiuso in cui ciascuno dei suoi abitanti è ben inserito e svolge un ruolo, dove tutti sanno di tutti ma le apparenze devono essere mantenute perchè il pettegolezzo rappresenta ancora una sorta di controllo sociale che tutti temono. Soprattutto se è per “stupidità” a finire sulle bocche dei compaesani. Ed è proprio un fatto “stupido” (una disputa terriera finita in tragedia) a rappresentare la rottura della normalità per una famiglia molto sui generis composta da Bonaria Urrai, sarta del paese, e la sua fillus de anima Maria Listru.
Il povero Nicola Bastiù, mentre tenta di dar fuoco al campo dei confinanti, viene colpito da una fucilata ad una gamba, in seguito amputata a causa delle ferite riportate. Il suo forte temperamento e la strabordante vitalità giovanile vengono annientati dalla sua nuova condizione fisica, portandolo ad una profonda depressione. Dunque è in questo frangente che Maria scopre un segreto molto importante riguardo la sua madre acquisita, ovvero lei è l’accabadora, colei che finisce: Bonaria, colpita dalla storia del ragazzo in cui rivede il suo promesso scomparso anni addietro, decide di mettere fine alla sua vita cedendo alle sue insistenze, tradendo un pò i dogmi che la sua professione gli impone, ovvero di aiutare a compiere il destino dei morenti in assoluta accondiscendenza con la famiglia dell’infermo, che in questo caso viene tenuta all’oscuro.
La scoperta turba la giovane Maria che, presa da un atto di profonda indignazione, decide di lasciare il paese per andare a lavorare come tutrice a Torino.
Passano un paio d’anni e la ragazza si ambienta nella nuova realtà e (quasi) scopre l’amore ma una chiamata improvvisa la costringe a tornare in Sardegna: Bonaria ha avuto un ictus e non è più autosufficiente. Maria decide quindi di tornare a prendersi cura della madre adottiva. Nei due anni che seguono la situazione diventa per entrambi sempre più insostenibile e nella mente della giovane comincia a maturare l’idea di porre fine a tanta sofferenza. Con le parole in testa di Bonaria pronunciate tempo prima durante il litigio che ha portato la famiglia a separarsi, ovvero “non dire mai: di quest’acqua non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata.”, Maria decide di compiere l’estremo atto nei confronti della madre sofferente, atto che tanto aveva criticato in passato.
Il libro si legge tutto d’un fiato, complice uno stile asciutto ma efficace, che non annoia. I dialoghi dei protagonisti, molto ben scritti e cuciti in maniera impeccabile attorno al carattere dei vari personaggi, sono incalzanti e danno ritmo alla lettura.
Sono proprio i dialoghi a mio avviso il fulcro su cui poggia la struttura del libro perchè scritti in modo tale da indurre il lettore alla riflessione, senza che l’autrice rischi di imporre in maniera esplicita il suo pensiero. I fatti in sé sono dunque solo la cornice che dà l’opportunità ai protagonisti di poter riflettere e maturare di conseguenza le proprie idee.
Come ogni favola che si rispetti, Accabadora ha un suo insegnamento, ma sta a voi saperlo cogliere!
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Commenti
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grazie per il commento. Concordo con la parte ambientata a Torino, anche a me è sembrata fuori contesto e slegata dalla narrazione principale. L'arguzia nei dibatti dell'autrice emerge nel modo in cui sono strutturati i dialoghi e nel ritmo che viene loro conferito, proprio in questo trovo la piacevolezza del libro. Per quanto riguarda la sua genesi, apprendo da te le tempistiche e, dunque, la fretta con il quale è stato pubblicato il racconto ma, anche se vogliamo inserirlo nella categoria "romanzo d'occasione", sostengo l'assoluta originalità nel modo in cui questa storia è stata costruita: si potrebbe ipotizzare che l'idea del racconto ci fosse già da tempo nella mente dell'autrice ma poi, per la fretta di pubblicarlo e cavalcare l'onda della tematica, non ha avuto modo di armonizzare le varie parti (infatti non si può negare che qualcosa che non vada ci sia). Tuttavia, il mio giudizio rimane nel complesso positivo.
Ora sarei interessato a qualche testo di saggistica dell'autrice.
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Per me non c'è stata la piacevolezza di lettura riscontrata da te. Ho trovato questo libro un po' diluito: come fosse un racconto con aggiunte per farne un romanzo benché breve (la parte ambientata in Piemonte poi m'è parsa stucchevole).
Inoltre non mi è piaciuta la 'tempestività' di pubblicazione in un momento di forte dibattito sull'argomento; mi è parso quasi un 'romanzo d'occasione'.
Eppure la rimpianta autrice , nei dibattiti, mi è sembrata spesso assai arguta e interessante.