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Un romanzo lungo una telefonata
Nives Raulli abita da cinquant’anni a Poggio Corbello col marito Anteo, ha una figlia sposata in Linguadoca e conduce una vita apparentemente tranquilla e abitudinaria. Un brutto giorno, però, Anteo finisce lungo stecchito dentro al truogolo del maiale Ciclamino che, equivocando, comincia pure ad assaggiarlo.
Con una esistenza intera passata in coppia con il coniuge, Nives fatica ad adattarsi alla vedovanza e alla conseguente solitudine. Per timore di dar giù di matto si porta in casa Giacomina, la sua gallina preferita, zoppa per il morso ricevuto dal cane dei vicini, ma ancora arzilla. A lei parla e racconta i fatti della giornata, la imbocca con i lombrichi più succulenti e, la sera, assieme a lei guarda la TV.
Una di quelle volte, però accade un fatto inspiegabile. La gallina pare pietrificarsi. Sullo schermo stavano trasmettendo una pubblicità di un detersivo, che mostrava una lavatrice che funzionava a tutta velocità e la povera bestiola s’è ipnotizzata a guardarla. Disperata, Nives, non sapendo come svegliare la gallina, telefona al veterinario, Loriano Bottai, anche se, a quell’ora, l’uomo rischia di essere K.O. dopo aver ingollato l’ultimo bicchiere di vino della giornata.
Svegliato a fatica dalla moglie Donatella, Nives comincia una lunga telefonata con l’uomo, partendo dai guai della gallina, ma poi, allargando il discorso a rimembranze del passato: il suicidio di una comune amica, le performance sessuali di un vicino dell’uomo, i loro trascorsi, anche amorosi, i rancori e le nostalgie.
Questo romanzo (forse sarebbe più opportuno definirlo racconto lungo) della Naspini rappresenta un unicum sotto svariati punti di vista. Innanzi tutto si sviluppa, in modo assai singolare, su un unico capitolo, lungo come l’intera narrazione. Esso, dopo averci resi partecipi della morte di Anteo Raulli e del sodalizio che Nives ha stretto con Gelsomina, si dilunga per circa settanta pagine di solo dialogo telefonico con il Bottai. In pratica l’intero racconto non è che il resoconto accurato del lunghissimo confronto via cavo tra i due protagonisti.
Ma è interessante notare pure come gli stessi interlocutori mutino allo scorrere delle pagine. “La” Nives ci viene presentata inizialmente come un’anziana contadina (fors’anche poco istruita) se vogliamo un po’ “balenga” (come direbbe un veneto), suonata per la perdita improvvisa del marito, stravolta dalla solitudine, un po’ rincitrullita per trovarsi da giorni con una gallina ovaiola come unica interlocutrice e spaventata perché quest’unica compagna di vita ora sembra stregata.
Tuttavia è una situazione solo momentanea, perché, tolta questa prima maschera, Nives mostrerà, di poche pagine in poche pagine, molteplici volti l’uno totalmente diverso dall’altro. La donna, prima timorosa per le sorti dell’animale e, poi, superstiziosa e timorosa di vendette soprannaturali cede il passo a quella che da giovane non s’è affatto risparmiata i piaceri carnali e una vita esuberante e sfrenata. Faranno seguito l’amante delusa, tradita, abbandonata, e irata per l’illusione patita; un rancoroso angelo vendicatore che infligge ogni tipo di tormento al suo “nemico”; la spietata calcolatrice; la mezzana di sua figlia; infine apparirà una donna liberata, fiera e fortificata nella sua conquistata posizione di supremazia. In questi passaggi, poi, scomparirà la Nives ingenua e decisamente naif delle prime pagine e si farà strada prepotentemente una donna sempre più acculturata e acutamente logica in tutte le sue scelte e le sue reazioni, spesso ciniche o brutalmente sadiche.
“Il” Bottai, passerà, invece, dal ruolo di anziano veterinario etilista, ma pragmatico, a quello di incredulo e scombussolato interlocutore, di tremebondo adultero, di bugiardo inveterato, di uomo timido e impacciato, incapace di assumere decisioni. La fine ce lo consegnerà individuo sconfitto e abbattuto.
Altra insolita caratteristica del racconto è quella di condensare in un unico dialogo – esposto nella forma del discorso diretto – un’intera esistenza, anzi molteplici vite: quelle dei protagonisti, ma pure quelle dei comprimari che verranno via via riferite nelle varie battute dei due interlocutori e, non di rado, usate come armi l’un contro l’altra. Insomma la storia di un intero paese e dei suoi abitanti, delle tresche, degli intrighi riassunti in due ore di telefonata.
Anche i toni della narrazione mutano frequentemente. Si passa da una sorta di commedia farsesca a scene drammatiche, dal disvelarsi di sconvolgenti verità a rapidi e acidi battibecchi, da frasi minacciose di confronto ad atteggiamenti pietosi o dolenti.
In definitiva si tratta di un esperimento letterario tutt’altro che disprezzabile, anzi, interessante e curioso. Non posso, però, dire che sia totalmente appagante o divertente. Infatti non è ben chiaro dove l’A. ci voglia portare. Tra il “Mi si è imbambolata la gallina” d’apertura e il “Va be’, ora è tardi. Ciao” finale avviene tutto e il contrario di tutto. Almeno tre vite vengono sconvolte dalle parole che si due interlocutori si dicono, ma non si comprende se questa specie di atto unico abbia una sua morale o un suo scopo narrativo o si tratti solo di un reportage di vita vissuta.
Inoltre, alla lunga, certi battibecchi tendono ad annoiare a risultare ripetitivi e un po’ banali.
Insomma a mio avviso si tratta di una lettura curiosa, sicuramente innovativa e che non lascia indifferenti, ma che forse avrebbe avuto bisogno di qualche rifinitura e, forse, di un più ampio respiro.