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Il caffè di Genziana Olivares
“Il caffè per essere buono deve essere nero come la notte, caldo come l’inferno e dolce come l’amore”, così scriveva il filosofo Michail Bakunin a metà Ottocento, Giuseppina Torregrossa deve averlo rammentato quando si è accinta a scrivere questo piccolo capolavoro sulla palermitana casa Olivares e sulla storia di una famiglia negli anni che vanno dal 1940 al 1951: una storia che ha come centro Orlando, un maestoso macchinario per la torrefazione del caffè, nella capitale siciliana, in Discesa dei Giudici. I sacchi con i preziosi chicchi arrivano dal porto, la torrefazione lavora e produce il miglior caffè di Palermo: merito dei coniugi Roberto e Viola, che fa anche la caffeomante (legge il futuro nei fondi delle tazzine). Hanno cinque figli, due femmine, Genziana e Mimosa, e tre maschi, Ruggero, Raimondo e Rodolfo. Genziana, fiera, tenace, ribelle, è la protagonista. Mentre Ruggero si dedica allo studio, gli altri fratelli collaborano nell’azienda, Mimosa, invece, cresce stentatamente, magrolina, fragile, cardiopatica. Poi c’è la nonna Ortensia, che vigila su tutto, e Giovanni, uomo di fiducia tuttofare. Irrompe un bel giovane, Medoro, che subito fa perdere la testa a Genziana: lei cerca disperatamente una felicità che le sfugge, tralascia il lavoro, rincorre un sogno che non si avvera. La guerra sconvolgerà abitudini consolidate e legami familiari: i maschi si daranno alla latitanza, i primi bombardamenti, la carenza alimentare, la paura allontaneranno i clienti, la torrefazione vivrà momenti difficili e cresceranno i dissapori tra Roberto e Viola. Mimosa non supererà la malattia e morirà, il crollo del rifugio antiaereo durante un’incursione farà molte vittime, tra queste i coniugi Olivares. Ed ecco, finalmente, lo sbarco delle truppe americane: la Sicilia nel 1943 sarà liberata, la vita lentamente riprenderà, la torrefazione grazie all’abnegazione di Giovanni tornerà poco a poco a riprendere la sua attività. Genziana, intanto, è ben determinata: vuole continuare l’opera dei genitori, legge gli appunti del padre, apporta modifiche, crea nuove miscele, trasfonde nel lavoro tutto l’amore per la sua famiglia e la sua terra. Avrà un incontro con una attivista del Partito Comunista arrivata dal Nord, discuteranno di diritti negati, di uguaglianza, di aiuti a chi non ce la fa: Genziana sembra rinata, è un’altra donna, capace di prendere in mano il suo destino, di superare i tristi momenti della guerra e, finalmente, di realizzarsi. Il tempo per l’amore verrà, un giorno, inaspettato … Intanto, l’odore inebriante del caffè di tanti anni prima torna a diffondersi lungo la Discesa dei Giudici, riaccendendo i profumi e la gioia di un tempo che sembrava svanito.
Lo stile della Torregrossa coinvolge subito il lettore: la sua Palermo, le case distrutte dalla guerra, il lamento dei superstiti ti entrano nell’anima, cullata dai frequenti termini dialettali che piano piano fai quasi tuoi, senza accorgerti. L’autrice entra nei personaggi, nei loro pensieri, nei loro sogni: alcuni sono protagonisti di un mondo che va scomparendo, altri sono il germoglio di un’umanità che sta per rifiorire, per riorganizzarsi e tentare di costruire un mondo nuovo meno arcaico e più moderno. Su tutti, Genziana, ragazzina ribelle e scontrosa: per un grande amore non corrisposto è capace, sì, di scatenare una rabbia distruttiva tenuta troppo a freno, ma dopo il rapido passaggio della guerra che ha annientato lavoro e affetti, sa trasformarsi nell’archetipo di una nuova generazione, piena di risorse e di voglia di riscatto.