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Di mamma ce n’è una sola
Di mamma ce n’è una sola: ed è verità sacrosanta, niente e nessuno ci amerà sopra ogni cosa, contro tutti ed a dispetto di tutto, lei sola è l’emblema autentico di Amore con la maiuscola.
Naturalmente, non tutte le madri sono uguali; perché ogni madre è, prima di essere tale, una persona, per cui l’amore di mamma si manifesta diversamente secondo il contesto ed il modo di essere, di crescere e divenire della genitrice. Ogni madre è mamma, ma ciascuna lo diviene a suo modo.
Un retaggio dell’imprinting ambientale.
Tutte le madri amano però con cuore di mamma, ognuna è a sé stante nei confronti della propria prole, però tutte sanno perfettamente, nell’intimo, cosa significa, cosa comporta essere madri.
I simili sempre si riconoscono all’istante tra loro, è legge inscalfibile di natura; le altre genitrici saranno pure estranee, così come i loro figlioli, ma per il semplice fatto di aver partorito, una madre riconosce la compiuta maternità in un’altra donna, e tutto quanto a questo consegue.
Resta una persona estranea, la loro prole a loro solo appartiene, non è intrecciata nell’anima come la propria carne, l’altra è la madre dell’altro, l’altra madre. Comunque, Mamma.
“L’altra madre” è un gradevole titolo di Andrej Longo, non uno dei più recenti, e però un volume snello, slanciato, armonioso, come lo sono tutti i lavori dello scrittore ischitano di nascita e napoletano d’elezione. Un romanzo essenziale, veloce, può apparire scarno ed è invece pulito, più che conciso, perché la scrittura di Longo è così, non descrive, trasporta nei luoghi, negli ambienti, nell’intimo dei suoi personaggi, è il narrato che parla chiaro di per sé, riporta fatti e azioni che si spiegano da soli, senza tanti giri di parole. Andrej Longo è un autore dotato, abile, perciò la sua è scrittura efficiente, per quanto nodale. Pur essendo un racconto scattante è vigoroso, ha forma piena, compiuta ed esaustiva nel suo dire e sottolineare, soprattutto perché è un lavoro attuale, fuori tempo, parla dei momenti che restano sempre aggiornati all’odierno, vigenti, effettivi. Andrej Longo descrive una realtà che conosce perfettamente, che si ripete ciclicamente come la vita, parla di lavoro e di lavoro che non c’è, discetta sul bisogno e sul degrado che produce bisogno, ragiona degli umili, dei comuni, dei proletari e degli ambienti dove si svolge la loro esistenza. Ambienta tutte le sue trame nei quartieri usuali ad ogni grande città, nemmeno di estrema periferia ma siti a margine, spesso a ridosso se non proprio al centro più antico delle metropoli. Qui gomito a gomito risiedono piccoli delinquenti e dignitosi lavoratori, famiglie per bene ed altre disastrate, o forse solo sfortunate, misere o a disagio, tutti faticano a sbarcare il lunario, e vicini tra loro convivono canaglie e galantuomini, bricconi e uomini onesti, tutta la variopinta umanità che si riscontra nei quartieri popolari e popolareschi dell’habitat dell’autore, Napoli, o in analoghe grandi realtà urbane.
“L’altra madre” è un principio, un incipit, poi il racconto si riflette nei figli, come naturale derivazione.
Genny ha sedici anni, Tania ne ha quindici, sono due giovani simili, eppure profondamente diversi, sono gli altri figli, i figli dell’altra.
Sono ambedue bravi ragazzi, all’alba della loro giovinezza trascorsa troppo in fretta, che già intende catapultarli nel vivo dell’esistenza.
Genny ha lasciato la scuola, è orfano di padre, la madre è una donna gravemente malata, che si arrabatta a crescere il suo figliolo malgrado l’asma e la malagevole difficoltà di respiro, che la costringe a trascinarsi dietro la bombola dell’ossigeno. Non rinuncia però ad industriarsi in un lavoro clandestino, gravoso e mal pagato, cuce l’orlo dei pantaloni per pochi euro, quasi che il suo sforzo fosse grazia ricevuta per vivere. Per estremo dileggio e sberleffo nei confronti del suo gramo vivere, la donna non esita ogni tanto a fumarsi una sigaretta, che innesca inevitabilmente una tosse convulsa, stando ben accorta a non farsi beccare dal figliolo che le rimprovera il suo vizio pericoloso.
Anche Genny, come tanti giovani proletari, si arrangia con un lavoro precario, ed in nero: è barman tuttofare in un piccolo bar del rione, si occupa anche delle consegne a domicilio di caffè e colazioni, sfrecciando per il quartiere a bordo del suo motorino truccato, che manovra con innata abilità.
La sua vita si svolge così tra il lavoro, la cura della mamma invalida, il tifare per il Napoli, lo sfrecciare sul motorino, il militare nella squadra di calcio del rione, stando ben attento a non ficcarsi nei guai, a tenere le distanze dagli amici di una vita, suoi coetanei, che per pari bisogno come il suo hanno però preferito intraprendere scorciatoie malavitose.
Tania invece è unica figliola di una famiglia monoparentale più che dignitosa, il papà li ha abbandonate, ma madre e figlia sopravvivono benissimo da sole, la donna ha un impiego disagevole ma sicuro, è infatti in Polizia, in servizio operativo sulle volanti. La giovane come tutte le sue coetanee ama lo shopping, le feste, i bei vestiti, ma sa perfettamente fin dove può spingersi nei suoi sogni e nei suoi desideri, una ragazzina con la testa ben piazzata sulla testa, l’orgoglio e la gioia della mamma.
Finché un giorno i destini dei due giovani, e per estensione delle loro madri, si intrecciano tragicamente, e da qui tutto il romanzo precipita inesorabilmente, con crudele irruenza, in una turbolenza di furia, di rabbia, aspra e cattiva, dura e idrofoba.
Longo descrive letteralmente una discesa agli inferi, e ritorno; delinea a chiare lettere, e però con pochi tratti incisivi, l’essenza del dolore, il peso amaro della croce, l’algia e lo struggimento dell’anima violata dalla sventura e dal patimento per la perdita di quanto più caro hai al mondo.
Il peggior strazio che esista, quello che ti lacera, ti macella, fa scempio delle carni, del cuore, del cervello, è disperato pianto perenne, supplizio, martirio, e non ti fa comprendere più nulla:
“…ora non lo sa più quello che è giusto e quello che è sbagliato. Non sa più niente.”
Tutto il racconto sembra ruzzolare allora da qui in poi rovinosamente in una vicenda da grand Guignol, un film scontato e prevedibile di un borghese piccolo piccolo che reagisce con rabbia cieca ad un evento assurdo e crudele, insensato e irragionevole, gratuito, che rintrona, altera la coscienza, ti sconvolge la mente.
Andrej Longo però non è autore scontato, e rassetta, riordina, regola la vicenda come è giusto che sia, in un confronto tra la madre e la madre dell’altro, l’altra madre.
Comunque, Mamma.