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NON CHIEDERMI PERCHÈ
Il mio primo approccio con Ginzburg è stato indiretto, mediato dalla bella biografia scritta da Petrignani ne “La Corsara” qualche anno fa. Dopodiché, l'incontro vis à vis con i suoi scritti e un innamoramento che a ogni lettura si rinnova.
Come in “La città e la casa”.
Il romanzo è scritto in forma epistolare e vede Ginzburg rifrangersi in un caleidoscopio di personaggi rappresentati da un gruppo di amici riuniti attorno a “Le Margherite”, un vecchio casolare di campagna che non è solo un luogo di incontro, ma anche un collante di relazioni, un antidoto alla solitudine domestica, un rifugio contro il chiasso e il grigiore metropolitano. È un luogo dell’anima dove ritrovare sé stessi e gli altri, in un armonico, seppur instabile, equilibrio tra individuo e comunità.
Nel gruppo de Le Margherite, difatti, i ruoli, i rapporti non sono rigidamente cristallizzati, piuttosto si sgretolano, fluiscono, senza però mai sfociare nella rottura definitiva, traslando al concetto di comunità quel che vale per il singolo individuo: si evolve, si involve, ci si trasforma, senza però mai staccarsi da sé stessi.
Le Margherite è un nome che non ha una motivazione, un perché.
E l'assenza di un perché è il filo conduttore che anima tutto il libro: le cose sono, accadono, senza una ragione precisa, senza una causa scatenante.
Il romanzo si apre, difatti, con la decisione inspiegabile e improvvisa di Giuseppe di vendere casa, abbandonare tutto e trasferirsi in America dal fratello Ferruccio.
Da qui, l’inizio della dissoluzione dei legami con i luoghi e tra le persone. Dopo la dipartenza di Giuseppe, difatti, il gruppo si sfalda e Le Margherite viene messa in vendita. Gli amici rimasti si sparpagliano tra Roma e l’Umbria e nel frattempo si innestano nuovi personaggi: Ignazio Fegiz e il figlio di Giuseppe, Alberico, che scardinano i vecchi equilibri.
Giuseppe segue tutto a distanza, tramite il fitto scambio epistolare che intrattiene con i suoi amici. Ogni missiva riflette l’animo del suo autore - l’indolenza placida di Giuseppe, la fame d’amore di Lucrezia, lo spirito libero di Alberico - , ma altresì la penna inconfondibile di Ginzburg.
Una penna caratterizzata da una prosa semplice, intima e sincera che non scandaglia pensieri e sentimenti e non va letta tra le righe. Ginzburg racconta di fatti minuti, parla di quotidianità, resta sulla superficie delle cose e pur tuttavia va dritta al cuore e al cuore parla.