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Solitudine incompleta
Tre fratelli e un ultimo saluto, al padre. Tre vite soffocate da obblighi e senso del dovere, tra sensazione di incompletezza e insoddisfazione per quei legami che proprio non sembrano prendere forma, sostanza.
Il suo nome è Alessandro ed è il primogenito, colui che mai si è sentito amato. È un ingegnere trapiantato al nord, ha perso in una sola giornata la moglie Carla, il lavoro ed anche il padre. Il suo matrimonio è l’emblema di assenze e tradimenti, di legami andati avanti più per consuetudine sociale che per verità concreta. E poi c’è lei, Silvia, la mezzana. Soffre della mancanza di amore materno, di una vita controversa, di speranze disilluse. Infine, Gabriele, il più piccolo e quasi come un cliché, il più fragile. Naufragato nella cocaina è schiacciato dai sensi di colpa per aver deluso quel padre e ha distrutto il suo patrimonio economico per una dipendenza che non porta resa se non sconfitta.
Silenzio, attesa, silenzio, attesa. La salma sembra tagliare la quiete con la propria presenza – quasi – ingombrante. I tre si riuniscono per ricordare la fine di una vita e sembra di essere alla resa dei conti perché a passare innanzi ai loro occhi è una vita fatta di rimpianti, ansie, assenza di una figura materna scomparsa prematuramente.
Ed ancora una volta tornano ad essere presenti le problematiche della famiglia, ancora una volta le tante domande che ruotano attorno a questa tematica si fanno vive e vivide. È Claudio Coletta, questa volta, a farsi portavoce di quelle dinamiche sociali e psicologiche che prendono forma all’interno delle abitazioni, tra le mura. Non nascondo che per l’impostazione e la presenza di questi tre fratelli tutti avvalorati da una propria fragilità, insoddisfazione e insofferenza alla vita, lo scritto mi ha ricordato molto “Serge” di Yasmina Reza. Da questo punto di vista l’ho ravvisato un po’ troppo un ennesimo cliché. Sono anche prese le dovute distante da questo componimento edito da Adelphi ma la mente rimanda e pensa e riflette sulla comunanza di fattori che al contempo li accomuna.
Coletta propone ai lettori un elaborato con un buon potenziale. Soprattutto nella prima parte l’opera è ben caratterizzata, i personaggi incuriosiscono, si scoprono poco a poco, come se si stessero sfogliando le pagine della loro vita, si attraversa e percepisce il loro dolore. Lo si assapora e percepisce con vividezza. Tuttavia, la sensazione che resta al lettore è quella dell’incompletezza. Perché se in prima battuta il narratore è coinvolto dalle vicende, vuole scoprirle, svilupparle, dall’altro canto resta con una sensazione di non completo sviluppo del libro. I personaggi restano bloccati nel loro essere, non riescono a trovare le loro risposte e dunque sono incapaci di offrirle al lettore, il mistero del vivere e dell’esistere resta tale. Ed è un peccato. Perché un titolo come questo ha certamente un ottimo potenziale che se ben sviluppato avrebbe potuto renderlo semplicemente indimenticabile. La sensazione invece è quella di personaggi persi nei meandri della loro mente, come in un labirinto di specchi senza vie d’uscita.
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