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Amore sincero ed orgoglio profondo
Grazia Deledda rimane ancora oggi la prima - e, purtroppo, l’unica - italiana vincitrice del Premio Nobel per la letteratura. Una voce a parte, non solo per la “sarditudine”, ma per la particolarità e l’originalità della sua scrittura e del suo stile, che la rendono refrattaria ad ogni tentativo di inserirla in una qualche corrente letteraria dell’epoca.
Nè verista, nè decadente, ma sarda… sarda e basta. Come scrisse all’editore Trèves di Torino quando era ancora una ventenne piena di ambizioni e sogni, a trent’anni avrebbe desiderato diventare la prima scrittrice di “letteratura interamente sarda”.
Una voce a parte, dunque: Grazia Deledda vinse il Nobel, con grande disappunto di tanti scrittori tra cui Pirandello (Nobel quasi dieci anni dopo), perché non aveva alle spalle studi regolari: la scrittrice aveva frequentato la scuola fino al quarto anno della primaria, aveva avuto un insegnante privato e poi aveva studiato interamente da autodidatta. Non era considerata, dai circoli intellettuali e letterari dell’epoca, una scrittrice colta, meritevole del più prestigioso riconoscimento alla carriera.
La letteratura è vocazione precoce per la scrittrice, un richiamo irresistibile lo testimonia la prolificità della sua produzione, di cui il romanzo “Marianna Sirca”, pubblicato nel 1915, è esempio di motivi e temi che ne sono alla base.
Marianna Sirca è personaggio femminile molto forte, orgoglioso, una vera dominatrice.
Trascorsa la fanciullezza e la giovinezza al servizio del ricco zio sacerdote a Nuoro dove i genitori l’avevano condotta in vista della succosa eredità e dove era trattata peggio che una serva, a trent’anni torna nella “tanca”, nell’ appezzamento di terra del padre, ricca, trentenne, completamente ignorante in questioni amorose.
Lì incontra Simone Sole, un giovane che era stato servo dei genitori di lei, ora divenuto brigante, allo scopo di vivere in libertà: è amore a prima vista. Lui le confesserà che da ragazzino la odiava sapendola più ricca di lui, sapendola destinata a un matrimonio favorevole, laddove le sue bellissime sorelle, perché poverissime, non avrebbero potuto sperare in nessun avvenire che non fosse la reclusione in casa interrotta da qualche messa.
È subito amore adesso, al primo incontro.
“Egli sarebbe tornato. Le aveva messo un anello intorno al polso, di cui non era facile liberarsi. E di nuovo lo rivedeva nell’atto di guardarla tutta con uno sguardo intenso come la carezza di una mano amorosa; e sollevando gli occhi, nel buio, arrossiva sul suo guanciale come se il viso di lui pure intraveduto nel sogno che non ha consistenza, si accostasse al suo e il battito delle loro tempia si confondesse in un battito solo. (…) E il pensiero che il demonio le fosse davvero penetrato nell’anima e nel corpo sotto forma di Simone, le diede un senso di angoscia e di vergogna”.
Mai dimenticare che lei è la padrona e lui è il servo. Lo stesso Simone è combattuto nonostante l’intensità dei sentimenti che prova per lei: lui, un brigante, si innamora? E di chi? Della donna che ha sempre detestato quando era un ragazzino!
Marianna Sirca è una storia di un amore profondo e sincero, ricambiato, ma anche di orgoglio: Marianna sfiderà le convenzioni, gli ostacoli sociali per realizzare quel loro impossibile sogno d’amore, ma non rinuncerà mai all’orgoglio.
La protagonista è un personaggio forte che si erge su tutti gli altri maschi della vicenda, fa valere la sua volontà su quelle del genitore, del cugino Sebastiano e sui consigli della serva Fidelia.
È testarda e terribilmente orgogliosa. E l’orgoglio ha un prezzo altissimo da pagare.
L’altra protagonista della storia, come per tutti i racconti e i romanzi più maturi della scrittrice, è la natura aspra ed arsa della terra sarda.
Una natura umanizzata, descritta non senza picchi di lirismo autentico: gli alberi sembrano sussurrare, le ombre minacciare, angoli di roccia custodiscono segreti ancestrali.
“Dapprima fu il monte d’Oliena, bianco, fatto d’aria, poi i monti di Dorgali a destra e quelli di Nuoro a sinistra, azzurri e neri; e d’un tratto tutto l’orizzonte parve fiorire di nuvole d’oro. Era la luna che spuntava.
E subito al velo d’oro che si stese dai monti alla Serra parve sovrapporsi un altro velo, una rete di perle che tremava sopra tutte le cose e le rendeva più belle, più vive nel sogno. La foresta rideva nella notte, eppure le foglie che cadevano dagli elci parevano lagrime. Erano gli usignoli che cantavano”.
La Deledda ha traghettato la Sardegna, il suo mondo mitico in Europa e nel mondo, facendola diventare l’archetipo di ogni luogo dove si consumano i drammi dell’umanità.
È d’obbligo ricordare che la recente critica delle varianti ha riconosciuto l’indiscutibile apporto della scrittrice alla storia della nostra lingua e della nostra letteratura: confrontando i testi autografi e le correzioni delle edizioni a stampa, è impossibile non riconoscere l’importante lavoro di rielaborazione, di trasposizione del microcosmo sardofono nel codice letterario di riferimento che era la lingua e la letteratura della penisola. È immenso il lavoro della Deledda: nei suoi romanzi migliori - e Marianna Sirca lo è - è riuscita e fondere codici diversi: uno orale, ancestrale, sardofono a quello scritto, di tradizione toscana, che era la letteratura italiana post unitaria.
Un merito che non le viene quasi mai riconosciuto.
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L'autrice è stata l'unica donna italiana a vincere il Nobel per la letteratura. Secondo me, l'unica scrittrice a lei successiva che avrebbe potuto ambire a raggiungere questo obiettivo era Lalla Romano, la cui opera costituisce un unicum di forte coerenza e stile, un grandioso mosaico in cui ogni libro costituisce un tassello.