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Bianca e Lili
«[…] Il tempo, che fino ad allora si era srotolato nell’urgenza delle sue stagioni inarrestabili, all’improvviso si cristallizzò, la vita mi investì con furia, sebbene al rallentatore, e mi sembrò di vivere dentro a un sogno. Quasi come se non mi riguardasse. Come se fosse soltanto un presentimento, un brutto pensiero. Invece la disfatta era lì, bruciante e terribile, e mi bastava allungare una mano per sentirne la ruvidità.»
Il suo nome è Bianca, bianca come il latte, verrebbe da dire, bianca come Biancaneve, appunto. Lei che è una bambina dal cuore dolce, lei che è una bambina che cresce in un mondo ostile, con un padre debole e lei, Candy. Candy che è frivola, Candy che la tratta come figliastra, Candy che al mattino parte con la sua macchina per lavorare e del resto si dimentica, che sia l’uomo che l’ha colta in casa, che sia la bambina a cui in più occasioni ha dato anche del vino pur di poter fare il suo e uscire, giocare ai casinò e chissà quanto altro ancora. Bianca ama il padre, però. È il suo eroe dalle ali spuntate, colui che le vuole bene e a cui lei più tiene. Se Bianca tuttavia cresce in un contesto che già in partenza è duro, con il tempo le cose non migliorano perché per quanto entrambi imperfetti ella perde proprio di quel padre tanto adorato quanto punto di riferimento.
E poi c’è lei, Lili. Lili che vive e cresce in un’altra epoca, donna data in moglie a uomo con cui condivide un segreto che potrebbe essere una macchia per quello che è un legame coniugale. E poi una sera come tante, lei che vive in Francia, si ritrova su un treno merci con altrettanti deportati. È diretta in uno di quei campi da cui non si fa ritorno. La famiglia del marito, in cui non vi è dialogo e dove subisce una violenza non verbale costante, ha solo cercato di salvare delle persone dalla deportazione. Il clima però non aiuta e la gente parla. Scruta. Osserva. Denuncia. Condanna. Condanna a un non ritorno dall’inferno. Cerca di salvarsi, anche a costo di vite altrui.
«Non sono abbastanza vecchia per bruciare i ricordi, ma ho l’età giusta per smettere di ipotizzare scenari futuri e aggrapparmi soltanto a ciò che è rimasto: che succede se, alla fine della tua vita, ti ritrovi come me a impugnare aria? E ti domandi ogni giorno: come sarebbe andata, se tu avessi agito diversamente?»
Due donne, due volti, due anime apparentemente distanti come epoca, in realtà vicine per storia e pensiero. Due donne che animano e colorano queste pagine fondendo e descrivendo la realtà del Novecento, uno dei secoli più importanti della nostra Storia. Ed è per mezzo dei loro racconti e delle loro voci che questa torna ad avere un volto vero e proprio. Ponendo in essere la forza della donna, ma anche di questo periodo così nefasto per tanti versi. Niente tra queste pagine deve essere dato per scontato, niente. Nemmeno i nomi. Basti pensare a Bianca/Biancaneve che con il suo candore rappresenta la favola, una fiaba che si infrange nel mondo reale.
Se da un lato la Storia che viene affrontata è quella della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, dall’altro vi è quella dell’ultimo ventennio del Novecento con la strage di Ustica, la strage della stazione di Bologna, il terremoto dell’Irpinia e molto altro ancora.
Al tutto si somma una voce vivida, chiara, cristallina. Marilù Oliva accompagna il lettore e lo conduce per mano in un viaggio che si lascia gustare e cogliere. Tra riflessioni, finzione e verità storica. Senza indugi procede in una narrazione che muta il proprio registro narrativo in funzione delle voci narranti, delle storie narrate. Senza sbavature, senza mai tentennare. Un romanzo godibile, che si fa leggere con rapidità ma che lascia il segno e del quale non smetterò mai di ringraziare per essere stato un dono davvero gradito e capace di sorprendere.
«Il quinto livello, il più pervasivo e agghiacciante, era la disumanizzazione. Azzerato il senso di civiltà, deambulavamo con passo incerto come se fossimo continuamente sul punto di cadere – e guai a lasciarsi andare alla gravità, interveniva subito una guardia a spezzarti le gambe. Si sgretolavano la solidarietà, la cura dell’altro, il rispetto; la regola diffusa era farcela e, quindi, prevaricare.»
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