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Un’«istituzione»: i Finzi-Contini
Un’«istituzione»: la famiglia dei Finzi-Contini è e rappresenta questo nell’immaginario del protagonista e di Giampiero Malnate, 26enne milanese trasferitosi a Ferrara per ragioni lavorative. Lo dicono sul declinare del capolavoro di Giorgio Bassani, quando iniziano a incontrarsi con una certa frequenza per alcune settimane al di fuori del contesto del Barchetto del Duca, la residenza della nobile casata dei Finzi-Contini. Perché questa casata, di cui si segue l’albero genealogico a partire dalla tomba di famiglia nel cimitero ebraico di Ferrara, viene definita un’«istituzione»? In primo luogo ogni qualvolta non riusciamo a dare dei confini chiari e limpidi a qualcosa che ci sta di fronte tendiamo a elevarla a un livello superiore. Nessuno in effetti, né il protagonista (il cui nome non viene mai specificato in questa narrazione in prima persona che ripercorre i fatti della sua giovinezza, dall’infanzia al periodo universitario) né tanto meno Malnate, comprendono fino in fondo quello che sono, che pensano, che fanno i Finzi-Contini. Sono presentati come ebrei, ma ebrei diversi rispetto agli altri, perché hanno ereditato un atteggiamento superbo; si ritengono superiori rispetto al resto della comunità tanto da potersi permettere un vero e proprio isolamento all’interno dei dieci ettari di terreno delimitati da corso Ercole I d’Este di Ferrara. Sono grandi proprietari terreni e al loro servizio hanno molte famiglie contadine e secondo il padre del protagonista sviluppano una sorta di sotterraneo antisemitismo aristocratico, perché sono «sporchi agrari, biechi latifondisti, aristocratici nostalgici del feudalesimo medievale». I due figli del professor Ermanno, Alberto e la splendida Micol, non frequentano il ginnasio insieme a tutti gli altri ferraresi, ma svolgono lezioni private e si “mescolano” agli altri soltanto per gli esami finali. Oppure il professor Ermanno si impegna per rinnovare la sinagoga spagnola, al fine di non frequentare più quella italiana, dove già sedevano in uno spazio piccolo e separato, detto sinagoga fanese, situato al terzo piano di una vecchia casa d’abitazione di via Vittoria.
Proprio nell’appartata sinagoga fanese il protagonista bambino, anch’egli ebreo, ebbe modo di conoscere la famiglia Finzi-Contini nella sua integralità. E nel corso di quelle cerimonie religiose vide per la prima volta Micol, quella che diventerà la ragazza da lui tanto amata e tanto desiderata. Studiosa di letterature straniere a Venezia, Micol è il personaggio intorno a cui ruota l’intera vicenda. Emerge in tutta la sua personalità nelle ultime pagine del romanzo, grazie alla riflessione della voce narrante, che dice: «Quasi presaga della prossima morte, sua e di tutti i suoi, Micol ripeteva di continuo anche a Malnate che a lei, del suo futuro democratico e sociale, non gliene importava nulla, che il futuro, in sé, lei lo aborriva, ad esso preferendo di gran lunga “le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui”, e il passato, ancora di più, il caro, il dolce, il pio passato». Proprio per questo Micol non cederà mai al corteggiamento, in alcuni casi anche accentuato e carnale, del protagonista perché non vuole cancellare quel caro, dolce e pio ricordo del passato vissuto con lui, a partire da quella fitta rete di sguardi scambiati nella sinagoga italiana. Ed è la stessa ragazza a ribadire che «anche le cose muoiono, caro mio. E allora, se anche loro devono morire, tant’è meglio lasciarle andare. C’è molto più stile, oltre tutto». Micol è presaga del futuro perché ipotizza che la storia dei Finzi-Contini è destinata a concludersi tragicamente. Le leggi razziali prima, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale poi, sono due fatti che rompono l’isolamento della famiglia, superando con prepotenza le Mura degli Angeli, dentro le quali i Finzi-Contini tra dimora, campo da tennis e giardino hanno vissuto come se fossero in un paradiso terrestre. Alberto, fratello di Micol, morirà prima degli altri nel 1942 per un linfogranuloma maligno; nel 1943 invece toccherà a Micol e agli altri componenti della famiglia essere catturati dai repubblichini e deportati in Germania.
Tanto inchiostro è stato speso su Micol Finzi-Contini. Vale la pena ricordare un aspetto singolare di questo personaggio di Bassani. La sua capacità di dialogo e il suo legame del tutto speciale con gli alberi e gli arbusti del proprio giardino, come se avessero un’anima e un cuore; sviluppa in tal senso un linguaggio con il quale riferirsi alle migliaia di varietà di specie. Le perlustrazioni e le passeggiate svolte dalla stessa Micol insieme al protagonista durante l’autunno del 1938, quando per la prima volta la dimora dei Finzi-Contini fu aperta a molti ragazzi ferraresi e non solo per la disputa di partite di tennis, sono tra gli aspetti più felici della narrazione. Si respirano meraviglia, stupore e briosità. Con l’avvento delle leggi razziali e con l’espulsione degli ebrei dal circolo di tennis della città, il campo dei Finzi-Contini diviene un punto di ritrovo e sede di incontri, sebbene la qualità della struttura non sia all’altezza della maestosità della tenuta. Singolare è il fatto che i lavori d’ampliamento del campo tante volte richiesti da Alberto e Micol inizino soltanto quando la salute d’Alberto si sta deteriorando in maniera sensibile. Il protagonista si accorge del peggioramento delle condizioni dell’amico, mentre tutti i componenti della famiglia tacciono e sembrano nascondere l’evidenza. Proprio per questo il miglioramento del campo da tennis diventa un diversivo per non focalizzare l’attenzione sui problemi di salute di Alberto. Anche questo è il mistero che circonda l’«istituzione» dei Finzi-Contini, una famiglia che alle orecchie del protagonista ha sviluppato un proprio modo di parlare. Alberto e Micol infatti accentuano parole che appaiono marginali in una frase, le evidenziano in un modo che appare improprio e anche per questo si differenziano dagli altri. Sono esseri unici, affascinanti.
Come sempre in Bassani, la Storia con la S maiuscola resta sullo sfondo: ha un ruolo preponderante e decisivo ai fini della narrazione, ma non occupa mai il centro. L’aspetto cruciale del romanzo è il rapporto giovanile tra il protagonista e Micol. Una volta archiviato, la voce narrante non ha nient’altro da aggiungere, anche se tanti punti interrogativi restano; ad esempio, è lecito chiedersi la ragione per cui il protagonista ebreo non finisca deportato in Germania a differenza di quanto accade ai Finzi-Contini. Resta anche in sospeso la possibile e segreta storia d’amore tra Micol e Malnate alle spalle dello stesso protagonista. Sono soltanto supposizioni a cui ogni lettore proverà a dare le proprie risposte. Concluso il viaggio condotto nella Ferrara di Bassani si è uomini e donne più ricchi se non altro per l’incontro magnifico con un personaggio indimenticabile come Micol. A tutti gli effetti questo romanzo si può considerare un capolavoro in grado di affrescare il microcosmo della società ferrarese negli anni del regime; un microcosmo piccolo-borghese dal quale si erge proterva l’«istituzione» dei Finzi-Contini.
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Commenti
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Certo che Micol è il personaggio meglio caratterizzato, ci si innamora di lei!
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Hai ragione, anch'io trovo affascinante la figura di Micol, tratteggiata magnificamente, dai contorni sfumati che le conferiscono qualcosa di inafferrabile che va oltre alla mera 'descrizione' .
Libro magnifico, fin dalle pagine introduttive, letto e riletto.