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Lingua madre o Lingue madri?
Qual è la vera forza delle parole? Quando le parole hanno una forza tale da poter significativamente influenzare le radici e la vita di un uomo? Quando le parole, ancora, possono diventare nemiche? Paolo Prescher è il protagonista del romanzo d’esordio di Maddalena Fringerle, vincitrice del Premio Calvino del 2020. E Paolo sa bene quanto le parole possano avere una forza devastante e destabilizzante.
Siamo a Bolzano, luogo in equilibrio tra due realtà: quella tedesca e quella italiana. Paolo vi è cresciuto e da sempre sa che arriverà il momento in cui dovrà scegliere quale lingua parlare se vorrà costruirsi una vita e/o avere un lavoro. Però a Paolo questo gioco con la lingua proprio non piace. Non piace perché è consapevole della forza delle parole, di quanto queste possano abbellire o imbruttire un mondo, una realtà. Esistono parole sporche, ma esistono anche parole pulite.
«Le parole pulite sono così: dici una cosa e intendi quella cosa, sono vere e limpide, non ci sono associazioni mentali che le rovinano, che le macchiano o che le sporcano.»
Il loro uso è quanto di più devastante e pericoloso ci possa essere. Il padre di Biagio ne è la riprova. Soffre di afasia, è muto, eppure per il figlio questo suo silenzio è dettato dal contesto familiare fatto da una madre che negli anni si è lasciata troppo spesso andare all’isteria. Ed è quando il padre muore che sopraggiunge il desiderio di partenza e di abbandonare l’italiano per il tedesco. Che sia forse questo il giusto modo per salvare le parole pulite dall’assedio di quelle sporche?
Ha inizio così il viaggio di Paolo, un viaggio fatto di cadute e rialzarsi, un viaggio alla “Il giovane Holden”, un viaggio in cui si scappa da quel che si disprezza. È una voce a tratti disincantata, a tratti malinconica. Ma è una voce, ancora sola. Perché la realtà è che, per quanto adulto, egli resta sempre diviso a metà. Tra tedesco e italiano, in bilico esattamente come i personaggi di Salinger che sono tanto insoddisfatti quanto incapaci di comunicare sia soli che anche in compagnia.
Ecco allora che fa capolino la “Lingua madre”. Tra ossimori, riflessioni, ieri e oggi, senso di appartenenza e radici. È un libro che divide: o si ama o si odia. La narrazine al contempo trattiene ed irrita, lo scritto è molto autoreferenziale, talvolta si perde su se stesso, fatica a trattenere. Vince negli intenti ma non per questo anche sui risultati. Come anzidetto, divide e nel suo dividere lascia al lettore l’interrogazione sul senso della parola e della lingua in un mondo dove sempre più la parola è svalutata e depauperata del suo significato. A maggior ragione se complessa, stratificata.
«Erbe olfo facciamo blaun basta prego buono mettiti calzetti prendi freddo Regen prezzi appartamenti peggio Milano città calda Italia facciamo blaun montagne bilingui parchetto tu devi morire zweisprachig che castrone stazione schlimmer extracomunitari Kuhn blaun Erbe»