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Distanti e vicine
Seconda opera per Cristian Mannu che, dopo dopo i successi raggiunti con l’opera prima “Maria di Isili”, attraversato un periodo di crisi, almeno questo pare evincersi dai lunghi ringraziamenti che chiudono il romanzo, ritorna con un delicato scambio di voci femminili che in prospettiva diversa cantano la distanza generazionale, l'incomunicabilità che la accompagna e la derivata sofferenza che ne consegue.
Una mamma, ormai anziana e nonna, decisa finalmente a riallacciare i rapporti con al figlia e desiderosa altresì di conoscere la nipotina, è in procinto di partire per la Francia; viene però bloccata da un malore che si trasforma in inappellabile agonia e che vedrà al suo capezzale proprio la figlia che torna da Parigi.
Le voci, madre e figlia, si alternano in due parti ben distinte e titolate come movimenti musicali dai sottotitoli richiamanti invece le arti figurative: il ritratto di donna del titolo principe si compone dunque di “chiaroscuri e colori”, di “cornici e luci” e in ultimo di “riflessi”. Al di là della tripartizione, funzionale a rappresentare in momenti distinti un dialogo che ormai è impossibile da realizzarsi, e a suggellare l’epilogo lasciato ad una voce narrante esterna; il vero cuore pulsante dell’opera sembra essere la rappresentazione degli stati d’animo delle due donne, gli accadimenti sono infatti pochi e essenziali, così potenti da poter però far deviare due esistenze a loro volta poste in tale traiettoria dal vissuto primario della nonna, la cui figura aleggia sulle vite di entrambe.
I modi di essere di tre donne dunque che, a partire da una stortura di fondo, tutta genetica e vissuto familiare, proiettano nelle loro esistenze di figlie e di madri gli errori che le hanno trasformate da vittime a nuove carnefici. La figlia condanna la madre senza conoscerne l’intimo vissuto, madre che a sua volta già si era distanziata dalla propria.
La fuga, l’evitamento, le distanze, l’esclusione sembrano essere le uniche armi per poter imbastire una nuova individualità, essa però sarà triste e monca perché deprivata del necessario elemento identitario rappresentato dalla famiglia di origine.
L’ introspezione ha poi una cornice che richiama la terra di origine dello scrittore, la Sardegna, nell’ambientazione tra l’Ogliastra e la città di Cagliari, evocativa di suoni, colori, sapori che, per chi scrive, hanno il sapore della familiarità e risultano piacevoli ma oggettivamente non hanno alcuna valenza stilistica e narrativa. La scrittura è semplice, emozionale, nulla più. Può risultare gradevole ma non si imprime.
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