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Romanzo "Michelecentrico"
“Non esisteva ancora il libro dello sbandamento e delle ansie giovanili, della crisi della famiglia…...Non esisteva il libro della ribellione dei ragazzi borghesi” (P. Bianucci, Gazzetta del Popolo, 1973).
In queste riflessioni si concentra l’essenza di “Caro Michele”, che prima ancora di essere il titolo del libro rappresenta l’incipit di quasi tutte le lettere spedite al suddetto Michele dalla madre, dalle sorelle, dagli amici. Lettere che come tessere di un puzzle compongono questo romanzo epistolare e che sono qua e là intervallate dalla narrazione in terza persona, come a fungere da trait d’union tra le varie missive.
Questa storia appare come l’antitesi al più celebre libro della Ginzburg, quel “Lessico famigliare” che riusciva a ricostruire l’identità e l’unità della famiglia Levi (dell’autrice) facendo perno, appunto, su quella terminologia cara e unica che solo i membri del nucleo potevano riconoscere(“non fate sbrodeghezzi! Non fate potacci!). Qui invece la famiglia appare disgregata, dispersa, la solitudine imperversa, soprattutto nelle parole della madre di Michele isolata in una casa di campagna con un matrimonio fallito alle spalle (“Sono contenta di questa casa, ma certo trovo scomodo essere così lontana da tutti”). Madre che non esita a rivolgere il suo risentimento nei confronti di un figlio lontano, mai presente (“Sei venuto su molto balordo, ma non sono sicura che saresti stato meno balordo se avessi ricevuto da noi un’educazione”).
La Ginzburg definisce l’impianto della storia secondo uno schema “Michelecentrico” in cui Michele è il destinatario delle comunicazioni di molte persone. Risulta quindi molto nominato ma poco presente, sfuggente, inquieto, in fuga dalla famiglia (e dall’Italia) per questioni politiche probabilmente. Michele diventa quindi emblema di una gioventù borghese ribelle che sembra abitare un mondo “che ora è pieno di questi ragazzi, che girano senza scopo da un posto all’altro. Non si riesce a capire come invecchieranno”, e che sembra ricordare un po’ quella gioventù dei figli di papà raccontata da Pasolini.
Ma la realtà sociale che popola il romanzo è pregna di personaggi problematici, in cui è evidente innanzitutto una carenza affettiva imputabile a relazioni in crisi o compromesse (la madre, una sorella, Osvaldo amico intimo di Michele) o ancora di più l’assenza di punti fermi nella propria vita come è possibile vedere in Mara, ragazza madre senza casa e soldi, viziata e capricciosa perennemente alla ricerca di un alloggio offertogli da amici, conoscenti, amanti, con un figlio a carico il cui padre potrebbe essere proprio lo stesso Michele.
Sopra a tutto aleggia una sensazione di infelicità corale, una disillusione che tenta di trovare refrigerio nell’illusione e nella speranza che in realtà “la felicità esista, cosa che forse non è del tutto da escludere, anche se raramente ne vediamo traccia nel mondo che ci è stato offerto”.
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Anche io la preferisco scrittrice di piccoli saggi e memoriali! Tuttavia devo leggere anche questo.
Devo scoprirla meglio! Grazie per la segnalazione della Petrignano
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Ho letto questo libro parecchi anni fa, e devo dire che non mi è piaciuto. Ammetto che la Ginzburg romanziera non mi è molto congeniale; la preferisco nelle sue raccolte di brevi saggi e interventi letterari come "Le piccole virtù" e "Mai devi domandarmi" .