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Un De Giovanni "fuoriserie"
Sarebbe interessante, per ogni libro che si legge che sia degno di nota, riuscire a fare anche brevemente quattro chiacchiere con l’autore: sentire la sua viva voce, scoprire da cosa hanno avuto origine certe idee e certi elementi che ci ritroviamo a incontrare all’interno del suo lavoro. Per “L’equazione del cuore” di Maurizio De Giovanni ho avuto questa fortuna, essendo lui venuto in un liceo classico della mia città per una presentazione (molto riuscita per diversi motivi, devo dire, e anche per merito dell’autore stesso). Ora, io non sono un lettore assiduo di Maurizio De Giovanni, oltre questo romanzo ho letto di suo soltanto “Il resto della settimana”, che a sua volta mi era piaciuto molto perché incentrato su come Napoli vive la passione per il calcio, cosa che mi tocca molto da vicino. Devo dire tuttavia che non mi sono accostato (almeno non ancora) alle sue serie più famose, quella dei Bastardi di Pizzofalcone e del Commissario Ricciardi, per la mia difficoltà a impegnarmi a seguire assiduamente una serie letteraria; ricordo ancora il fallimento disastroso con “La torre nera” di King, che poi non mi era nemmeno dispiaciuto. Devo dire, tuttavia, che De Giovanni ha le qualità dello scrittore di valore a cui forse la produzione seriale sta un po’ stretta e che inoltre, come lui stesso ha ammesso, soffre del pregiudizio da sempre riservato agli scrittori di genere: l’indifferenza della critica. Questo è un male che andrebbe estirpato e che getta ombre su opere letterarie di enorme valore, come quelle prodotte da un Ray Bradbury e da uno Stephen King, che pure hanno prodotto capolavori come “Cronache Marziane” e “Il miglio verde”. Un male che, da scrittore ancora accidentato, mi tocca da vicino. Mi sto dilungando, ma questo è segno di come lo stimolante confronto con un autore possa aprire a riflessioni molto ampie.
La trama de “L’equazione del cuore” si focalizza sul personaggio di Massimo De Gaudio, insegnante di matematica in pensione che alla matematica ha dedicato tutto sé stesso, e che per mezzo della matematica giudica tutto il mondo intorno a lui. Massimo è un uomo freddo, distaccato, che ha perso presto sua moglie e ha lasciato che sua figlia si trasferisse molto lontano senza opporre poi una grande resistenza, limitandosi alla “chiamata della domenica” e accontentandosi dell’ormai vuoto “tutto bene” dato in risposta all’altrettanto vuoto “come va?”. Sarà un evento tragico a mettere in discussione nuovamente tutta la vita di Massimo, che si ritroverà costretto a fare i conti con sé stesso, col suo passato, col suo modo di relazionarsi col mondo e coi suoi affetti: in particolare col suo nipotino Checco, che vede in lui un punto di riferimento nonostante la sua lontananza e la sua freddezza.
“L’equazione del cuore” è un romanzo piacevole, interessante, che può occuparvi piacevolmente un paio di giornate. Non sarà un capolavoro, ma posso dire che ci dà indicazione di quanto De Giovanni possa aspirare a qualcosa di più; che abbia in sé le capacità per staccarsi di dosso l’etichetta di autore di genere e passare a uno step successivo… sebbene la cosa più giusta sarebbe che il mondo smettesse di affibbiare un'etichetta agli autori di genere, valutandoli senza pregiudizi e ammettendo finalmente che l’appartenenza a un genere non debba necessariamente intaccare il giudizio sulla “letterarietà” di un’opera. “L’equazione del cuore” mantiene l’impronta giallistica: c’è sempre un mistero da risolvere, delle morti sospette, qualcosa che deve tenere il lettore incollato alle pagine, ma come dico sempre la vera bravura di un’autore sta nel coniugare intrattenimento e riflessione, divertimento e poesia. Questa è, come intuiva Calvino, la direzione che dovrebbe prendere la letteratura nel nuovo millennio: i lettori cambiano e devono cambiare necessariamente anche gli scrittori: lo ha capito King, lo hanno capito gli sceneggiatori come Jonathan Nolan, lo ha probabilmente capito De Giovanni, che forse deve armarsi di coraggio e mettere in stand by per un po’ le produzioni seriali, imporsi con gli editori, e cercare un’altra strada che non è detto debba essere completamente nuova, ma possa arricchirsi di nuovi elementi di valore.
“Se mi senti, capisci questo: due sistemi, come per esempio due persone, o due anime, o due mondi, se entrano in contatto, per sempre, finché esisteranno, risentiranno l'uno dell'altro. Potremmo dire che questa scoperta, fatta da un solitario e silenzioso ragazzo nel secolo scorso, sia l'equazione che ci racconta. Potremmo proprio dirlo.”
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è interessante, ma per la maggior parte della sua produzione abbastanza commerciale. Però un'occasione gliela si può dare.
P.S.: leggevo un tuo commento a una recensione non troppo entusiastica di "Martin Eden" di Jack London. Leggilo, è un capolavoro.
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