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Morsi di rabbia
Una Shanghai algida e tiepidamente abbozzata accoglie una giovane italiana in fuga da una recente perdita dolorosa e stigmatizzante.
Una giovane donna che porta sulle spalle il fardello del lutto di un fratello gemello, una scomparsa non solo da elaborare ma che nasconde al suo interno un'intricata voragine di problematiche irrisolte.
Un terremoto interiore che ha fatto crollare ogni sovrastruttura personale e familiare, mettendo a nudo rimorsi, rabbia, delusione e vuoti da colmare.
Le mancanze affettive diventeranno sinonimo di fame spasmodica e delirante che la giovane protagonista tenterà di saziare con un amore totalizzante, fatto in primis di fisicità estrema, oltre che di sottomissioni e idealizzazioni.
Viola Di Grado ci conduce all'interno di una storia a tinte fosche a tratti allucinatoria, di cui inizialmente se ne comprende il disegno sotteso in vista di un percorso liberatorio, ma al termine la parabola narrativa pare debole.
Non è semplice rappresentare la ricerca di evasione da una palude emotiva attraverso l'utilizzo del proprio corpo, come strumento per infliggersi castigo e per cogliere serenità; temi spinosi e complessi da trasferire al pubblico.
La prosa conferma il consueto stile asciutto e tagliente dell'autrice, fatto di sequenze rapide di immagini e stati d'animo, ricco di colori, suoni e odori.
Una prova impegnativa che nell'elaborazione del contenuto, o meglio nel suo bilanciamento, ha perso di vista il giusto mix degli elementi.
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