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Il pathos della distanza
Secondo romanzo della cosiddetta Trilogia degli antenati, “Il barone rampante” è probabilmente il romanzo più conosciuto dei tre, e forse tra i romanzi più famosi di Italo Calvino. Tuttavia devo dire che l’ho apprezzato meno del suo predecessore “Il visconte dimezzato”.
A parte i gusti - che sono opinabili - le vicende di Cosimo barone di Rondò hanno inizio a partire dalla sua decisione di ritirarsi sugli alberi, in seguito a un alterco familiare che ha per protagoniste le lumache cucinate da sua sorella che lui si rifiuta di mangiare. Per palesare la sua disapprovazione nei confronti di questo pasto - ma molto più probabilmente di una famiglia composta da personalità particolari, con le quali non può più convivere - Cosimo deciderà di arrampicarsi sugli alberi accanto alla tenuta: una decisione che parrà inizialmente frutto di un capriccio infantile e temporaneo, ma che finirà per trasformarsi in un proposito solido dal quale il protagonista non si staccherà mai, per alcun motivo al mondo.
Ma per quale motivo Cosimo trasforma questa sua ribellione in una specie di ideale? Perché questa presa di posizione? Difficile da dire, sta di fatto che mai il protagonista verrà meno a questa sua decisione, e nemmeno l’amore profondo per due donne - Viola e Ursula - sarà in grado di smuoverlo da questa posizione. Da questo punto di vista Cosimo è l’emblema del perfetto idealista che non scende mai a compromessi: di colui il quale sacrifica sé stesso a qualcosa e non è mai disposto a indulgere su nulla, a costo di provocare a sé stesso un’enorme sofferenza.
Nella postfazione dell’edizione Mondadori viene citato quello che Nietzsche chiama il pathos della distanza, che pone certi individui - aristocratici - a una sopraelevata distanza rispetto agli altri. Questo concetto viene applicato proprio a Cosimo il quale non solo concettualmente, ma anche letteralmente si trova a una posizione sopraelevata rispetto agli altri personaggi e pare poterli osservare meglio, oltre che risparmiarsi le brutture che una visione ravvicinata comporterebbe (metaforicamente parlando, ovviamente). A Cosimo, da questo punto di vista, si può associare la figura dell’intellettuale che, seppur possa porsi a una posizione di superiorità rispetto agli altri, deve poi fare i conti con l’alienazione che ne deriva. Cosimo, tuttavia, non si separa mai totalmente dagli altri esseri umani: non è un misantropo, anzi, lungo la sua vita ricerca sempre la presenza delle altre persone, il calore della passione, eppure non viene meno al suo proposito. Ma il distacco è sempre evidente, sempre impossibile da colmare, e sebbene Cosimo participi a tutti i grandi eventi a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, non può mai prendervi parte pienamente né giocarvi un ruolo che sia effettivamente importante, separato com’è dal resto del mondo.
Cos’è dunque Cosimo? un vincitore o un vinto, per metterla su un livello verghiano?
Tutto sta nel comprenderne i motivi… ma questo non è assolutamente semplice. Se il suo intento è una dimostrazione d’integrità, allora Cosimo è un vincitore a tutti gli effetti.
Negli altri casi, beh… il dibattito è aperto.
“- Mio fratello sostiene, - risposi, - che chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria, - e il Voltaire apprezzò molto la risposta.”
Commenti
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a me manca il terzo, poi ti dirò!
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