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Il totemico divano
Ci sono autori che da sempre hanno tematiche a loro care. Francesco Dezio è uno di questi e lo dimostra il fatto che da sempre con i suoi lavori ha scosso e portato a riflettere sul mondo del lavoro. Questo è un tema che non manca di essere affrontato nemmeno nell’opera “Nicola Rubino è entrato in fabbrica”. Questa volta, però, Dezio costruisce il suo lavoro come un’antica tragedia greca all’interno della quale viene a essere tratteggiato un romanzo corale fatto uomini che alternano successi ad altrettante rovinose cadute. A far da protagonista è poi il mercato. Sì, il mercato. Perché? Perché partendo dalla descrizione del boom degli anni ’60 si arriva a trattare la crisi degli anni Duemila e da qui sopraggiunge il nostro presente fatto di altrettante digressioni e disillusioni. Il mercato, nello specifico, è governato da una serie di meccanismi e polifonie in cui i soggetti finiscono con l’incedere credendo di esserne anche autori e determinatori. Che si tratti di CEO, influencer o vip di turno.
Uno scenario progressista e in movimento che si contrappone a una realtà statica del passato, a un mondo che talvolta sembra schiavo dei propri meccanismi ma che non migliora nella dimensione attuale in quanto è questo stesso che non riesce a stare al suo passo. Il cambiamento è così rapido da sfuggire al suo stesso autore.
Ecco che ci troviamo in Puglia, in un paesino chiamato Infernominore, località amena teatro e scenario delle vicende in cui Natalino Manucci, partito come tappezziere si risveglia con una Holding quotata in borsa a New York e la pia illusione di un sogno di ricchezza abbordabile a tutti. Un sogno di ricchezza che fa gola ai suoi ex operai che convinti dall’ipotesi di un guadagno facile e un successo assicurato si buttano nella dimensione imprenditoriale. E poco importa se per raggiungere i propri obiettivi sia o meno necessario sfruttare il prossimo, rendere schiavo il proprio dipendente.
Un sogno di ricchezza che diventa utopia per Nuccio Forleo e Michele Persico, ma c’è davvero possibilità per tutti o forse dietro lo scenario rappresentato si cela invece una maschera in cui il sistema fagocita e inghiotte sacrificando il pesce piccolo ma non lo squalo di turno?
A far da sfondo il mondo operaio, una dimensione non identitaria ma nemmeno collettiva perché le nuove dinamiche e i nuovi scenari hanno portato a una frammentazione e alla perdita di capacità contrattuale e contrattazionale.
Cambia il mondo e con questo mutare muta anche la dimensione del lavoratore che oggi è preda di una dimensione ipocrita di benessere diffuso e alla portata, ipotetica nel concreto ma non nell’affermato, del tutti. Mera illusione, utopia. Utopia, ancora, che si infrange e lascia disillusi e amareggiati. Senza conforto o possibilità di riscatto. In una realtà di mera corruzione. Tu lavoratore osi lamentarti? E che problema è, esiste la delocalizzazione. Paesi lontani a costi inferiori di manodopera ma anche di costi delle materie prime.
Una panoramica completa quella proposta ne “La meccanica del divano” dove non mancano nemmeno analisi economiche, riflessioni, evoluzioni, impostazioni neoliberiste, realtà sindacale e il suo indebolimento ma anche know-how. Il divano, quindi, diventa simbolo e riprova di una dimensione borghese e totemica, un simbolo che è oggetto di comodità e risultato di una narrazione nichilista.
«Magari un’altra volta. Volevamo qualcosa di diverso, che attizzasse il pubblico. Quella roba non fa più notizia. Comunque ha ragione, per noi rappresenta un punto di svolta. Da lei – non foss’altro che per aggiornare le notizie che riguardano il profilo aziendale – attendevamo invece indicazioni sul suo successore. Tutta la stampa si interroga. Sarà maschio o femmina?» p. 170