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La ricerca impossibile della giustizia
Come nelle sue opere precedenti, anche nel suo ultimo romanzo, “Di chi è la colpa” Alessandro Piperno pone all’inizio una citazione che si rivela essere quasi una guida alla lettura.
“Dove si giudica, non c’è giustizia” è una affermazione del grande Lev Tolstoj. Superfluo, forse, ma neppure così tanto, ribadire ancora una volta con quanto rispetto si debba guardare alla cultura e all’arte del popolo russo che vanno considerate come valori assoluti, a prescindere cioè dalle vicende politiche che offuscano la storia del paese.
La citazione impone necessariamente una profonda riflessione su cosa si intenda per giustizia e sulla illusoria possibilità di realizzarla nella sua completezza, per il fatto stesso che essa è affidata all’uomo e l’uomo non è infallibile. La giustizia dunque è legata essenzialmente all’onestà del giudicante, al suo equilibrio, alla sua imparzialità. Discorso, questo, oggi, molto attuale, anche se molto spinoso.
La storia che Piperno ci racconta nel suo ultimo romanzo, dunque, è proprio una storia di giustizia, anche se sta al lettore coglierne il senso nella complessa bellissima trama.
Una narrazione in prima persona del protagonista che racconta di sé, dalla sua infanzia fino alla sua maturità, soffermandosi sugli eventi che hanno contribuito all’evoluzione del suo carattere, alla formazione della sua personalità. Un’infanzia e una adolescenza condizionata dal disaccordo tra i genitori e dalle difficoltà economiche, un rapporto col padre e con la madre turbato da un alternarsi di ammirazione e disprezzo, lo conducono a successive fasi di crescita dolorosa, come necessarie iniziazioni alla vita fino al raggiungimento di un precario equilibrio. Un evento drammatico lo costringe ancora giovanissimo a cambiare vita ed ambiente, ad inserirsi nella famiglia della madre di origine ebraica: da qui la necessità di conciliare due mondi che si confrontano e si contestano più o meno palesemente. Il dramma esistenziale tuttavia è tutto interiore. È l’attitudine spontanea a dare la colpa di una situazione estremamente dolorosa ora al padre ora alla madre, senza trovare una via certa verso una sentenza tutta privata ma solidamente giusta. In questo contesto troviamo una palese critica alla famiglia in generale, al suo fallimento, “ecosistemi ermetici, ricettacoli di doppiezze irredimibili”.
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Sul rapporto Madame Bovary/Flaubert, voglio segnalarti l'interessante libro "Cercando Emma" di Dacia Maraini. Un testo molto ben documentato, illuminante per me, senza il quale non avrei compreso la mia mancanza di empatia verso questo personaggio femminile.
Se anche tu l'hai letto, sappiamo quanto sia pesante per Madame Bovary quella frase pronunciata dall'autore.
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Non ho mai letto il noto autore. Non mi è chiaro se qui ci sia un fondo autobiografico e se sia totalmente un romanzo d'invenzione. Comprendo che la distinzione spesso non sia netta e che, come si dice, ognuno abbia un'unica storia da raccontare, se non vuol scrivere un romanzetto 'a tavolino' .
Non conoscendo, però, la 'poetica' narrativa dell'autore, mi son permesso di porti questa implicita domanda.