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Gradevole guazzabuglio epistolare
Una vita lontana dalla famiglia, amicizie ambigue, uno scantinato che funge da abitazione e da laboratorio di pittura, velleità d'artista frustrate dalla mancanza di talento, un'attività politica sovversiva legata ad ambienti di estrema sinistra: questo è il quadro che viene fuori della figura di Michele Vivanti, giovane rappresentante della borghesia romana all'alba di quel periodo tristemente passato alla storia con il nome di "anni di piombo". Un ritratto che viene fuori da una serie di lettere, scritte nell'arco temporale tra il dicembre del '70 e il settembre del '71, in cui la madre, la sorella, l'amico fidato e altri personaggi che gravitano intorno al ragazzo e all'ambiente familiare, chiedono, danno, si scambiano informazioni sul protagonista ma anche su loro stessi, contribuendo non solo alla rappresentazione del personaggio principale, ma anche a dare un'idea delle proprie persone e delle proprie vite che, unite, creano il quadro di una società complessa in un periodo storico a dir poco complicato. Lettere scritte in maniera informale, quindi con un linguaggio semplice, casalingo, mutevole a seconda del mittente, ma accomunate da un senso di distacco, di apatia, quasi di inaffettività, usate come fossero ormai l'unico mezzo di comunicazione tra persone che hanno sempre meno da spartire e trascinano i loro rapporti quasi per dovere, a volte per interesse, altre per noia. Ne nasce un'immagine decadente dell'istituzione della famiglia, del novero dei rapporti sociali, dell'atavica incomunicabilità tra vecchie e nuove generazioni. Tra una missiva e l'altra, Natalia Ginzburg inserisce parti di narrazione in terza persona, dove il livello letterario sale qualche gradino elevandosi dal gergo quotidiano, come se una voce fuori campo si prendesse la briga di unire i pezzi di un mosaico, di dare un senso ad ogni tessera, di fare da collante a questo gradevole guazzabuglio epistolare. "Ma purtroppo è raro riconoscere i momenti felici mentre li stiamo vivendo. Noi li riconosciamo, di solito, solo a distanza di tempo. La felicità era per me protestare e per te frugare nei miei armadi. Ma devo anche dire che abbiamo perduto quel giorno un tempo prezioso. Avremmo potuto metterci seduti e interrogarci vicendevolmente su cose essenziali. Saremmo stati probabilmente meno felici, anzi saremmo stati forse infelicissimi. Però io adesso mi ricorderei quel giorno non come un vago giorno felice ma come un giorno veritiero e essenziale per me e per te, destinato a illuminare la tua e la mia persona, che sempre si sono scambiate parole di natura deteriore, non mai parole chiare e necessarie ma invece parole grigie, bonarie, fluttuanti e inutili. Ti abbraccio. Tua madre." In tutto ciò Michele interagisce pochissimo, restando evanescente, inafferrabile, misterioso, lasciando gli altri a preoccuparsi, a sbattersi di qua e di là, indifferente ai lutti, alle esigenze altrui, alle richieste di aiuto, perfino ad un'eventuale paternità, alla continua ricerca di qualcosa di indefinito, perennemente dietro a progetti volubili ed imprecisati, impersonificando i sogni, le aspettative, le paure, le incertezze di un'intera generazione e finendo per diventare vittima delle sue inquietudini personali e dei trepidanti fermenti di un mondo in costante tensione.
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