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CLARA E IL FENICOTTERO ROSA
Raramente un titolo si è adattato così bene al contenuto di un romanzo. Un sentimento negativo, la ferocia, che pervade innanzitutto la forma e il linguaggio. La parola stessa si ripete spesso, soprattutto nella prima parte, introducendo così il grande tema del racconto. Feroce, d’altra parte è l’intera storia di Clara, del suo presunto suicidio, delle violenze cercate e subite, della sua morte. E’ come un fantasma che aleggia in cerca di vendetta e il narratore sa evocarne la presenza come una sorta di medium. Alle spalle, una famiglia, quella dei Salvemini, dominata da Vittorio, il padre padrone, un imprenditore edile senza scrupoli, capace di sacrificare anche gli affetti più sacri sull'altare della ricchezza, che si muove alla perfezione in un sottobosco di corruzione, di tangenti, di vizi pubblici e di peccati inconfessabili, tra giudici, avvocati, politicanti, funzionari dello stato ricattabili e costretti a obbedire per tenere nascoste le loro perversioni e, in qualche caso, veri e propri crimini. In questo meccanismo che si perpetua senza apparente possibilità di redenzione, si inserisce il figlio naturale di Vittorio, Michele. Clara e Michele: due fratellastri ribelli che hanno solidarizzato e si sono legati l’una all'altro come per difendersi da quel fango su cui sono costruite le fortune, la ricchezza, gli agi, le ipocrisie, l’amore malinteso e deviato della famiglia Salvemini. Solo che Clara è spinta da un irresistibile e masochistico impulso a farsi del male che si traduce in vera e propria perversione sessuale, ambiguamente sottomessa agli interessi di famiglia. Michele è il puro, il paladino senza macchia, che porta dentro di sé un odio inestinguibile, spesso camuffato sotto una maschera di finta cordialità, verso la famiglia che l’ha accolto dopo la morte della vera madre. A lui viene affidato il racconto della storia nella seconda parte, attraverso una focalizzazione del discorso dalla quale emergono i tratti di un personalità divergente, ma disturbata e ai limiti della schizofrenia. A lui viene delegata la classica funzione dell’investigatore, che insieme a quella della vittima costituisce uno dei due poli intorno ai quali ruota il romanzo nero.
Questa forma letteraria, sottogenere del poliziesco, si caratterizza – come lo stesso autore ha dichiarato- perché, diversamente dal giallo tradizionale, il male che vi compare persiste anche dopo la soluzione dell’indagine e la scoperta dei colpevoli. E’ un male che non si ferma ad un individuo o ad uno specifico nucleo familiare, ma investe l’intera società. Ecco perché il romanzo di Lagioia è anche una drammatica denuncia della corruzione che pervade strati della piccola e media borghesia (il racconto è ambientato a Bari, ma potrebbe essersi svolto in un qualunque altro contesto urbano del nostro paese). Una corruzione che tocca anche il grande tema dei rifiuti tossici e dei guasti prodotti sull'ambiente da una criminalità che sacrifica la stessa vita delle persone all'arricchimento privato. In questa ottica assumono un rilievo analogico da non trascurare le tre bellissime scene di paesaggio: quella iniziale delle falene che scambiano la luce artificiale delle villette a schiera con la luce lunare e muoiono dopo una danza circolare di morte; i pivieri che si abbattono al suolo dopo aver bevuto l’acqua delle pozzanghere nelle saline di Porto Allegro, complesso turistico al centro della speculazione di Salvemini, intrisa di cobalto, piombo e magnesio; il fenicottero rosa che improvvisamente precipita sotto lo sguardo di una guardia forestale. Natura vs artificio, rispetto e sacralità della vita vs violenza e sopraffazione. Questo vuole denunciare l’autore attraverso correlativi oggettivi che alludono ad una violata bellezza.
Si assiste ad una continua variazione dei piani temporali del presente e del passato, che consente di illuminare le vicende attuali con il loro pregresso. Il narratore oscilla tra una terza persona esterna e onnisciente, il monologo interiore del personaggio e il discorso diretto, a volte inserito bruscamente nel flusso narrativo, con effetto spiazzante, senza stacco, verbi di dire o pensare, segni d’interpunzione. Lo stile si distingue per la sua tensione lessicale e per la complessità sintattica di alcuni passaggi, nei quali si sfiora l'oscurità, ma è nel complesso incisivo, sferzante e comunque adatto a rappresentare una realtà perturbata, innaturale, socialmente e individualmente patologica. Attraverso questi strumenti espressivi si traduce sul piano formale la ferocia che Lagioia ha inteso raccontare.
Ma, lettore, se vuoi l’indicazione di una pagina ancor più delle altre terribile, raccapricciante, rivolgiti all'episodio dello spogliatoio, dove, al termine di una partitella, un gruppo di maschi eccitati parla di Clara. Vi troverai la quintessenza della ferocia e del sessismo più bieco, il brodo di cultura di una mentalità e di un atteggiamento che possono tradursi, in circostanze particolari, in crimine. Qui si evidenziano particolarmente le doti intuitive ed espressive di uno scrittore non banale.