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Archy
«Ma come in quel momento mi sentii più perduto, e debole, e invisibile.»
Archy è una faina. Una faina figlia di una madre anaffettiva e priva di amore verso i propri figli e fratello di altre faine che da quella stessa madre sono odiate e ritenute inutili. Perché deboli, perché obblighi, perché nati quasi per rubare ossigeno ed energie. Il padre di questi fratelli è assente e la madre non esita a sbarazzarsi di chi nasce inutile o nel tempo lo diventa. Questa è la stessa sorte di Archy, Archy che tra queste pagine racconta la sua storia ma narra anche di quelle sorti che lo portano ad essere allontanato proprio da quella madre. Una madre che non esita a venderlo alla volpe, Solomon, per qualche provvista e per togliersi il peso di quel figlio ormai zoppo. Perché Archy cade nel tentativo di dare la caccia a un nido, cade proprio da quel nido posto ad alte altezze e da quel momento resta menomato. La sua zoppia lo accompagnerà a vita. Da questo momento ha inizio il suo percorso con Solomon e Gioele, il cane della volpe. Usuraia e furba è la volpe che introduce la faina alla parola di Dio.
«Il prima e il dopo non si erano mescolati, uno aveva soffocato l’altro annullando la differenza.»
Da questi brevi assunti ha inizio la crescita e lo sviluppo del libro ma anche la sua stessa evoluzione. La storia narrata dalla faina prenderà una sua forma e una sua connotazione, ma procederà passo passo tra perdite, riflessioni, analisi e tematiche forti ivi comprese quelle relative alla religione, alla famiglia.
«Il loro sonno, così tranquillo, mi impressionò. Non capivo se quella vita fosse orribile o meno, se essere confinati in un recinto confortasse o avvilisse. Da dove li stavo guardando io, ne avevo pietà, così come gli altri; eppure quei musi suggerivano che loro ne avessero di noi.»
È possibile accettare se stessi per come si è? È possibile far della propria esistenza una ragione essenziale del vivere e per vivere? È possibile che l’esistenza non sia soltanto qualcosa di fine a se stesso? Per Zannoni Archy non è altro che un pretesto, un artificio consolidato da sempre, un artificio narrativo per porsi e porre al prossimo domande sull’esistenza. Zannoni fonde instintualità e ragione, fonde il vivere con il sopravvivere, i legami affettivi, l’anaffettività, la responsabilità e la morte. Cosa allontana e/o avvicina l’uomo alla bestia?
Bernardo Zannoni, tra filosofia e riflessione, narra della tensione interiore che tiene perennemente Archy in bilico. Lo porta ad elevarsi alla dimensione umana tanto che giunge anche a domandarsi chi è Dio. Archy finisce con il sentirsi quasi più umano che bestia, sente perfino il senso di colpa per questo suo lato più bestiale e istintivo. Si tortura perfino per alcuni suoni comportamenti che altro non sono che insiti alla sua natura.
«Anche io mi sento così, disse.
Mi girai verso di lui.
Così come?
Desolato. Abbandonato»
Tante le strade che percorrerà Archy nel suo vivere. Strade che lo porteranno a perdere amori, la sua famiglia, che lo porteranno a imparare a leggere e scrivere, a scoprire dell’amicizia, a instaurare determinati rapporti, a cadere e a rialzarsi. Tra presente e passato. Tra altri animali del presente e del passato. Tra maestri di vita e perdite. Legami sfilacciati e cadute.
«Questo è il mio ultimo stupido intento: scappare, come tutti dall’inevitabile. Semmai Klaus tornerà che dia il mio corpo alla terra, o al fiume.»
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