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Un piccolo diamante dimenticato
Ad una prima analisi la struttura del libro sembra ricalcare i grandi predecessori del genere diaristico, da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, fino a “Diario di una scrittrice” di Virginia Woolf. Indubbiamente, la scrittura come forma di terapia introspettiva è senza dubbio il primo elemento che si presenta agli occhi di un lettore che vuole scavare a fondo sul significato, o per meglio dire, sui tanti significati e i tanti messaggi che questo romanzo porta con sé fin dalle prime righe.
L’incipit del libro, infatti, è già di per sé travolgente. Nelle prime due pagine, grazie anche alla tecnica della scrittura privata, l’autrice, Alba De Cespedes, ci offre il nucleo primigenio del testo: il senso di colpa della donna che osa fare qualcosa per se stessa. (“Ho fatto male a comprare questo quaderno, malissimo. Ma ormai è troppo tardi per rammaricarmene, il danno è fatto”). Qual è il peccato gravissimo commesso? L’aver ceduto ad un impulso, apparentemente inspiegabile, di comprare un quaderno sul quale annotare i propri pensieri. Ma la colpa che la protagonista si attribuisce va anche oltre: aver ceduto anche al bisogno interiore di ascoltare se stessa anche a rischio di trascurare la casa e la famiglia.
Il tutto per colpa di un quaderno. Sì, perché l’oggetto proibito, come dal titolo si evince, nulla è che un semplice quaderno. Assistiamo, dunque, già dalle prime righe alla presentazione di una donna, Valeria Cossati, la cui anima è letteralmente plagiata da secoli di ancestrale condizionamento sociale e culturale. Ma allo stesso tempo, proprio questo peccato (orripilante ai suoi occhi ma assolutamente innocente in una logica oggettiva) le permetterà, man mano che si svolge la storia, di prendere coscienza della sua effettiva situazione.
Ed è sempre nelle prime pagine che la De Cespedes ce lo fa intuire. Infatti Valeria, appena tornata a casa, con il quaderno opportunamente occultato sotto il cappotto, si rende conto di non avere a sua disposizione nemmeno un cassetto nel quale nasconderlo. Il motivo? Tanti, ma uno di questi è il fatto che Mirella, la figlia di Valeria, apre spesso armadi e cassetti per prendere i vestiti della madre in prestito. Un elemento che è sufficiente a farci capire come, oltre a qualsiasi spazio fisico, Valeria abbia da tempo, ed inconsapevolmente, rinunciato anche ad una sua precisa identità. Lei è la madre, o per meglio dire “mammà”, il nomignolo che il marito, Michele, le ha dato poco dopo la morte di sua madre, la suocera di Valeria. Una coincidenza fin troppo chiara per esigere ogni spiegazione di tipo psicanalitico.
Ma è l’atmosfera tutta che appare impregnata di una diffusa sottomissione femminile: la fioraia consiglia proprio poco prima dell’entrata in scena del quaderno, di comprare dei fiori perché “gli uomini le guardano certe cose”. Non è dunque Valeria, ma tutto il mondo nel quale vive (siamo nella Roma del 1950), e dal quale proviene, a forzare la mano su un’educazione che impone alle donne di anteporre la cura della famiglia alla propria vita e a qualsiasi pretesa personale. Fosse anche un quaderno sul quale annotare i propri pensieri.
Ci troviamo di fronte all’Angelo del Focolare di cui Virginia Woolf ha spesso scritto, descrivendolo come il peggior nemico della donna. Di qualsiasi donna che volesse (o anche dovesse) conquistare e poi difendere la propria indipendenza intellettuale ed emotiva, oltre che economica. Ma il personaggio di Valeria appare meravigliosamente sfaccettato. Infatti, sebbene schiavo di alcune convenzioni sociali estremamente radicate nel suo modo di ragionare, in realtà è una donna che lavora.
Anche se il lavoro è stato scelto e vissuto non come una realizzazione personale ma come uno strumento per aiutare economicamente la famiglia. Ed è questa la vera chiave di volta di tutto il racconto perché si comprende come ogni cosa possa avere due facce. Se accorge anche la protagonista nel confronto con le sue amiche, le stesse che, parlando tra loro, danno l’idea di recitare una parte per sembrare sempre felici, ricche ed appagate all’interno di matrimoni che, in realtà, sono stato stipulati come una sorta di contratto.
Per loro, infatti, un marito è letteralmente una fonte di reddito, utile solo per riuscire ad avere denaro, villeggiature pagate e conti saldati a fine mese. Per avere questo, però, sono costrette a rinnegare loro stesse, a temere di venire scoperte, ad inventare scuse di tutti i tipi per riuscire ad avere dei soldi per le loro spese quotidiane. Sono loro a tremare per il timore di fare tardi nel rientrare a casa oppure di essere scoperte dai mariti ai quali avevano mentito per giustificare una visita fuori casa.
La vera donna libera, in questo gruppo, è Valeria. Paradossalmente quella compatita dalle amiche perché (“poverina”)è costretta a lavorare. Ma di questo lei se ne rende conto solo grazie alla scrittura e all’esame, attraverso le pagine del diario, della sua situazione. Ma questo punto offre anche un’occasione perfetta alla De Cespedes per raffigurare un meraviglioso triangolo generazionale, quello tra Valeria, sua madre e sua figlia.
La seconda, infatti, ferma nel suo tempo, compatisce la figlia per essere stata “la prima donna in famiglia” ad essere stata costretta a lavorare. La terza, Mirella, invece, perfettamente conscia della rivoluzione dei sessi già in atto tra le nuove generazioni, decide consapevolmente di studiare (su suggerimento della madre) e di lavorare. Sarà proprio questo, infatti, a permetterle di andare a vivere lontano, anche rischiando di infrangere le leggi morali perbeniste della madre. Ma lei di questo non ha paura perché ha pienamente coscienza dell’importanza dell’indipendenza lavorativa e, soprattutto, di quella mentale. Con lei l’Angelo del Focolare ha perso.
Solo in quest’ottica comprendiamo un’altra realtà dei fatti: Valeria è una donna dilaniata tra il passato nel quale è stata allevata ed il futuro con il quale si trova a vivere. A farle prendere coscienza di questa situazione sarà ancora lui, il quaderno, lo strumento diabolico che ha infranto tutte le sue illusioni, aprendole gli occhi. Lo stesso strumento, la scrittura, che ha dato la possibilità a molte donne, nella Storia, di capire e riflettere.
Chi invece sorprenderà tutti, in negativo, sarà Riccardo, l’altro figlio di Valeria. Giovane ed inesperto, con una visione estremamente maschilista della donna, sceglierà come fidanzata Marina donna caratterialmente sottomessa e apparentemente non molto brillante. La stessa Valeria, incarnando lo stereotipo della suocera, sospetta che Riccardo sia stato ingannato e che l’innocenza della ragazza, sia stata, in realtà, solo una messa in scena. Ma anche in questo caso non è necessario soffermarsi ulteriormente sul rapporto tra madre e figlio.
Per capire la reale natura della sottaciuta morbosità di Valeria, basta semplicemente la considerazione che lei fa nel momento in cui prende coscienza di un bimbo in arrivo. Il nipote, infatti, per stessa ammissione della protagonista, non sarà visto come di Riccardo e Marina, ma di Riccardo e Valeria. La prova arriverà sul finale, quando lei, Valeria, decide di ignorare la sua “ultima possibilità di essere giovane”. Una possibilità inaspettata che si offre a Valeria e che la De Cespedes traduce in un magistrale colpo di scena proprio nelle ultime pagine del libro. Ma anche in questo caso la donna deve piegare nuovamente la testa e rinunciare. L’Angelo del Focolare ha fatto la sua ennesima vittima.
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