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Parole...parole...parole...
Prendere in mano questo libro significa, di diritto, aprire la porta di una casa o meglio di più abitazioni, quelle abitate dalla famiglia Levi; significa vivere la vita di quella famiglia, far proprio il suo linguaggio e partecipare appieno a tutti gli scambi comunicativi che rappresentano un vero e proprio codice di relazioni. Attraverso le parole infatti si aprono infiniti scenari, e quelli che si cristallizzano all’interno della nostra primissima comunità sociale, lo sappiamo, sono i più potenti. Le parole trasmettono emozioni, giudizi, conoscenze, letture della realtà, si imprimono nella nostra memoria uditiva non solo come lemmi ma anche come inflessioni, come toni, come identità primaria. Il lavoro della scrittrice è quindi un corrispondente degno della ricerca proustiana che partiva da stimoli olfattivi per acchiappare il ricordo e fissarlo per sempre. Posso garantire però che fissare le parole esercita altrettanto fascino e chi ha amato Proust non può non amare Ginzburg. La prospettiva è quella di una figlia che rappresenta e fissa soprattutto i suoi genitori attraverso una linearità cronologica frammentata: a grandi linee segue il criterio temporale della sua crescita e del loro invecchiamento, di fatto le tappe del suo percorso personale sono taciute, impietosa ellissi narrativa che lascia un po’ l’amaro in bocca, mentre i percorsi dei fratelli e della sorella sono inseguiti e rappresentati nel dettaglio. Di lei tace quasi tutto: adolescenza, matrimonio, figli, vedovanza e secondo matrimonio appaiono solo come dati, in prospettiva vengono amplificati solo e unicamente da come i suoi genitori li interpretano rimandando a lei una loro lettura, appunto, attraverso le parole. Una lettura confortante, divertente- i genitori sono tra i più bei personaggi della letteratura italiana- istruttiva nel suo riportare il clima culturale che diede il via alla stagione neorealista o quello economico del secondo dopoguerra o ancora quello impietoso del fascismo e delle sue repressioni. Un memoir fonico ricco di presenze- assenze ( prima fra tutti Pavese) che permette a tutti di capire lo scorrere quotidiano dell’esistenza, simile in fondo per tutti…
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