Dettagli Recensione
Comfort zone
Non avevo idea dell’uscita di questo romanzo di Paolo Cognetti finché non l’ho visto sugli scaffali della libreria riservati alle novità. Dopo l’eccellente romanzo “Le otto montagne” - probabilmente ultimo vincitore davvero meritevole del Premio Strega - l’autore si cimenta nuovamente in un romanzo che ha come epicentro la montagna e tutto ciò che la circonda. Inutile dire che l’ho preso subito, considerato quanto ho apprezzato il suo precedente lavoro, ne viene fuori tuttavia - lo dico subito e senza mezzi termini - un lavoro che ha pochissimo da dire, probabilmente perché tutto è già stato detto nel famoso e fortunato predecessore… e questo un po’ mi fa rabbia.
Il caro Cognetti in questo romanzo cita il grandissimo Jack London, che lui ovviamente apprezzerà per le sue produzioni “innevate”, ma che in un breve e bellissimo saggio dedicato agli scrittori emergenti e non solo afferma che uno scrittore mette nel suo lavoro “oltre che se stesso, anche quello che non è se stesso ma che è stato lui a esaminare e a soppesare […] Ognuno di loro (gli scrittori) ha tratto la propria filosofia operativa da una scorta personale di idee ed esperienze” e che all’inizio essi sono come neonati ma alla fine hanno “acquisito dal mondo qualcosa che i loro simili non hanno acquisito. E si trattava né più né meno che di qualcosa da dire. E allora tu, giovane scrittore, hai qualcosa da dire, o credi soltanto di avere qualcosa da dire?”. Perché questa lunga citazione per riferirsi a “La felicità del lupo” di Paolo Cognetti? Perché Cognetti qualcosa da dire ce l’aveva, ma in qualche modo s’è in gran parte esaurito nel suo romanzo più celebre, almeno per quel che riguarda il tema e l’ambientazione della montagna. Questo fa rabbia per due motivi: il primo è che, almeno a mio avviso, Cognetti era uno dei pochi scrittori italiani che potesse davvero definirsi degno di nota e che, probabilmente, ha ceduto alle pressioni - probabilmente anche di sé stesso - e ha prodotto un nuovo lavoro incentrato su qualcosa la cui fonte d’ispirazione è palesemente esaurita, almeno per ora. Sebbene si apprezzino le sue descrizioni molto evocative, ci rimangono quelle e poco altro: la storia narrata è scialba e manca della profondità che avevamo apprezzato in passato, popolata da personaggi con cui non si riesce a empatizzare. Certo un uomo che ha fatto della montagna la sua vita, come Cognetti, non potrà mai discostarsene del tutto e nella sua produzione non potrà fare a meno di soffermarvisi sempre… ma non basta proporci descrizioni e riflessioni che sanno di già sentito. Forse il problema è che gli scrittori sono spesso costretti a ripercorrere i sentieri che li hanno portati al successo… tuttavia questo è un approccio che poco ha a che fare con la letteratura. Uno scrittore dovrebbe scrivere quando ha qualcosa da dire, proprio come dice London: quel qualcosa può anche ripercorrere un sentiero già tracciato - chi può dire, infatti, che “Il richiamo della foresta” e “Zanna bianca” non siano entrambi capolavori? - ma quel sentiero deve presentarci nuovi spunti, vestirsi d’un manto diverso e rinnovare quella meraviglia che aveva destato in noi. Altrimenti non è altro che una minestra riscaldata, magari con ingredienti più scadenti.
A margine, anche volendoci soffermare sul dettaglio più sciocco… persino la copertina somiglia in maniera spropositata a “Le otto montagne”, il che sembra quasi gridare al lettore il suo scopo… un grido che io non ho voluto ascoltare.
Di sicuro sono un po’ troppo severo con l’autore e probabilmente lui non arriverà mai a leggere questa mia umilissima opinione; ma se le mie parole possono apparire taglienti è perché riponevo in Cognetti e nella sua scrittura una speranza: era per me un lumicino in quelle tenebre dilaganti che sono la letteratura italiana contemporanea. Se anche lui finisce per cedere e starsene lì, nella sua comfort zone, allora non ci sono davvero speranze e dovremo rassegnarci ai Volo e agli influencer che si improvvisano scrittori.
Rimane, comunque, una mia personalissima opinione: probabilmente qualcun altro ci avrà visto più di quel che ci ho visto io.
“[…] come poteva sciogliersi a quel ritmo e restare sempre uguale? Allora credeva che il ghiacciaio fosse eterno e immutabile, una parte della montagna che avrebbe sempre ritrovato lí tra la roccia e il cielo. Suo padre invece aveva capito cosa stava succedendo: qualcosa scompare e qualcos'altro prenderà il suo posto, gli disse. Cosí va il mondo, sai? Siamo noi che abbiamo sempre nostalgia di quello che c'era prima.”
Commenti
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L'autore mi interessa, ma al momento non ho letto neppure "Le otto montagne" . Quest'ultima opera di Cognetti può pertanto aspettare.
confesso che mi sono stupito nel constatare la presenza di così tante opinioni entusiastiche... l'ho trovato davvero un romanzo senza infamia e senza lode, e come sai non sono capace di nasconderlo. :D
sì, se proprio devi approcciare l'autore comincia con "Le otto montagne"... per quanto mi riguarda decisamente un'altra cosa rispetto a quest'ultima uscita.
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