Dettagli Recensione
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Il sangue vero
"Ecco, vede, dottoressa, io ormai vivo circondato da sangue appiccicato. I miei colleghi sono sangue appiccicato, le mie frequentazioni sono sangue appiccicato, le persone con cui parlo, discuto, vado a cena e in vacanza sono sangue appiccicato. Il sangue vero l’ho lasciato nel mio passato. Il sangue vero lo condivido con gli amici di scuola, che però si sono creati altre vite. Qualcuna è andata bene, qualcuna male, ma insomma: loro sono andati avanti. Quando torno a casa tiro un po’ il fiato, ma sono depresso, e la mia famiglia lo sente. Il giorno dopo esco di nuovo, e torno dal sangue appiccicato. Ed è per questo, e non per gli eventi di ieri notte, che stamattina sono qui, seduto davanti a lei. Le spiegherò meglio. Ha un po’ di tempo, vero?" Il confine di Bonetti è quella linea di demarcazione che permette di vivere lungo il bordo della devianza senza mai farsi attirare dal baratro, quella riga invalicabile tra la capacità di mantenere il controllo della situazione e l'andare alla deriva. Marco Bonetti era un vero maestro nell'arte di trasgredire senza superare il limite, affacciandosi oltre giusto il tempo di guardare nel precipizio, senza mai farsi attirare giù. Una regola che il ragazzo aveva tacitamente imposto a tutto il gruppo, permettendo a tutti quella giusta dose di divertimento, di adrenalina, di disubbidienza necessari durante l'adolescenza per crearsi consenso, amicizie, successo, amore, restando però sempre nei giusti limiti. Una regola che Roberto Ranò, miglior amico di Marco, ha sempre rispettato, dalle scuole medie fino ad oggi che, ormai 46enne, sposato con figli, stimato notaio, ha perso di vista la vecchia comitiva. Perché si sa, man mano che si cresce, le nostre vite e quelle dei nostri amici troppo spesso prendono strade diverse. Ma se il nostro Roberto è sempre stato capace di tenersi al di qua del confine di Bonetti, come mai si trova rinchiuso nel carcere di Rebibbia in attesa di essere interrogato dal Pubblico Ministero? Qualcosa deve essere andato storto la sera precedente, quando dopo tanti anni, il vecchio gruppo si è riunito per una rimpatriata estemporanea. Ma prima di raccontare alla dottoressa incaricata del caso le tragiche disavventure della notte, Roberto si lascia andare ai ricordi, portandoci con sé in un viaggio che ripercorre gli anni della sua adolescenza, della giovinezza, dell'ingresso nell'età adulta. Scuola, università, politica, sport, amici, feste, sesso, droghe, alcool, rapporto con la famiglia, tutto ciò con cui chiunque, in determinate fasi della vita, si trova direttamente o indirettamente ad avere a che fare. Tappe fondamentali, in cui basta un niente per perdersi, in un'età in cui, tra sogni, aspettative, speranze è facile sentirsi un po' come Bonetti, ovvero "come una Dyane che non sopporta di stare dietro a una Ferrari, e la supera." Sullo sfondo una Roma in fermento, durante un arco temporale che unisce i turbolenti anni Settanta e la fine del ventesimo secolo. Floris si muove in un ambiente per lui nuovo, quello della letteratura, dimostrando la consueta classe che lo contraddistingue come giornalista ma anche qualche titubanza tipica di chi si inoltra in un territorio poco familiare. Ne viene fuori tutto sommato un buon libro, scritto bene, brioso, spiritoso, a tratti profondo, che racconta un contesto in cui tutti possiamo ritrovarci. Perché tutti, chi più, chi meno, in quella fascia d'età, abbiamo o abbiamo avuto esperienze simili e amici cui siamo o eravamo legati come Roberto, Marco e gli altri. Per chi poi ha vissuto questo negli stessi anni in cui si svolgono i fatti raccontati nel libro, questa lettura avrà un particolare effetto. Manca forse un po' di coinvolgimento emotivo, un pizzico di empatia in più, quel calore nel racconto che fa sentire il lettore all'interno della storia. Comunque nel complesso una lettura consigliata, per un tuffo nel passato più recente del nostro paese, per sentire ancora parlare di anni di piombo e Big Babol, di Fantozzi e di Guerra Fredda, di Drive In e di Tangentopoli, per capire che le cose non finiscono da sole, ma finiscono soltanto perché siamo noi a cambiare. "E quindi, dottoressa, vede quanta amarezza mi porto dentro. Guardo tutto senza passione. Perché sa qual è il mio problema? Che le cose vecchie sono finite, tanti anni fa; ma non è iniziato nient’altro."