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Le vicende di tre famiglie, con finale inconsueto.
Per Andrea Vitali, se non vado errato, dovrebbe essere il settantanovesimo romanzo in trent’anni (secondo Wikipedia), una produzione straordinaria, incentrata soprattutto sulla sua Bellano e sui suoi abitanti, personaggi con caratteristiche ben precise, descritti con ironia ed arguzia: un quadro dell’Italia, via via in varie epoche, dalla prima metà del Novecento ai giorni nostri. C’è sempre l’Ospedale Umberto I con il suo primario e le suore, la caserma dei Carabinieri, meno coinvolta del solito, l’autorità ecclesiastica, trattata di sfuggita. La storia è quella di alcune famiglie, con le loro beghe irrisolte, i litigi e le soeranze, come sempre, in una vita migliore. Si inizia con un povero cristo, tale Annibale Carretta, incapace di un rapporto normale con l’altro sesso ma noto “scrusciatore di donne”, pieno di complessi, aiuto ciabattino del padre. Alla morte del padre sposa una poveretta affetta da mal caduco, che però decede e lo lascia solo, senza mezzi, abbandonato a sé stesso: l’accudirà un’altra povera donna, Rita Cereda, che, alla morte del Carretta, rimarrà in negozio, conteso in seguito dalla famiglia di Rita (detta “la Scionca” per una evidente zoppia) e le Dame di San Vincenzo ingolosite dai locali ove ritengono essere possibile stabilire la sede della loro associazione.
Ed ecco un’altra famiglia, quella di Rita: due sorelle, Vincenza, che studia per diventare maestra, e Lirina, sposata con un giovinastro ubriacone e manesco, denunciato e allontanato dai Carabinieri. La madre ha intanto trasformato in sartoria i locali del Carretta, ed è proprio in sartoria che entra in scena la terza famiglia del romanzo, quella, siciliana, di Assunta Sciacca e Rosvaldo Camminatore, genitori di un bel giovane, Niccolò, laureando in giurisprudenza. Il vestito nuovo del futuro avvocato va sistemato per il fatidico giorno della laurea, le due famiglie fanno conoscenza, Niccolò viene quasi sospinto dalla madre impicciona tra le braccia della bella Vincenza: i due si frequentano, mano nella mano, serate al cinema, un gelato in piazza, confidenze, ma Vincenza sembra aver la testa altrove, mentre il futuro dottore sogna una vita diversa, lontano da Bellano, in una città ove trovare studi legali più affermati e quindi maggiori opportunità.
La gita in barchetta sul lago di Como conclude il romanzo: sarà una ben triste gita, con la caduta accidentale in acqua di Vincenza, il salvataggio ed il successivo ricovero in ospedale. Qui, verrà alla luce un’inattesa novità, che indurrà la ragazza a prendere una decisione che coglierà sicuramente di sorpresa anche i più smaliziati lettori.
Il romanzo si discosta non di poco da altre opere di Vitali, è più articolato, con tantissimi personaggi di contorno. Cito ad esempio le virtù canore di un certo “Sofia”, gay dichiarato, che delizia tutti con le sue interpretazioni dei successi di Morandi, incitato dagli applausi convinti della sua dirimpettaia, e le manovre ed i traffici oscuri delle Dame di San Vincenzo, in combutta con un assessore comunale, per impadronirsi dei locali lasciati liberi dal Carretta.
Ma il romanzo è anche tra i pochissimi che non ha un lieto finale, lasciando un po’ di amaro in bocca per l’inattesa conclusione.
Lo stile di Andrea Vitali è sempre godibile, ironico e diretto. I nomi scelti per i personaggi sono come al solito inconsueti, attinti da un lontano passato o da vecchie lapidi cimiteriali: è difficile oggi incontrare le signore Pericleta, Spinetta, Seminella, Ampella o Stranita, come è altrettanto raro imbattersi nei signori Testarea, Fringio, Cardo e Sario…
Utilissimo, come sempre, l’elenco dei personaggi alla fine del libro.
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Tornare sul Lago di Como, anche solo con un libro, è per me sempre un piacere. Ovviamente conosco anche Bellano.