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In questo infinito buio che ci circonda
“È solo di notte, nella luce lunare, che si capisce veramente cosa sono gli alberi, queste colonne di legno e di schiuma che si protendono verso lo spazio vuoto del cielo. Se non c’è la luna, bisogna andare a tentoni nel buio, sotto la sconvolgente volta celeste crivellata di miriadi di stelle disabitate e di altre bave di luce”.
Un uomo, di cui non conosciamo nè l’età nè la sua storia, decide di ritirarsi in un borgo abbandonato, lontano dai suoi simili. Quest’uomo è l’io narrante di un storia breve e molto particolare.
Non abbiamo indicazioni sullo spazio e sul tempo, conosciamo soltanto questo suo desiderio di sparire in mezzo alla natura, alla ricerca di risposte alle sue domande. I personaggi sono pochissimi: un pastore albanese esperto di avvistamenti UFO e un bambino…morto, che abita in una casina di pietra, tutto solo, che provvede a se stesso meglio di un adulto: lava, stira, cucina e va alla scuola serale. Un bambino senza nome, come il protagonista, senza un passato, solo e dimenticato dal mondo.
Incontri che hanno dell’assurdo, eppure nell’economia della narrazione si caricano di significati profondissimi e particolari che rendono unico questo breve romanzo. Un’avventura metafisica.
Un viaggio alla ricerca di se stessi in un tempo sospeso, in un luogo indefinito, dove la vita è rappresentata esclusivamente dalla vegetazione, dagli animali e dagli insetti.
“Sono venuto qui per sparire, in questo borgo abbandonato e deserto di cui sono l’unico abitante”.
Secondo quanto leggiamo nella prefazione , “La lucina” (pubblicato nel 2013) sarebbe il testamento letterario dell’autore, sbucato “da una zona molto profonda della mia vita”. L’urgenza con cui è scaturita dalla sua penna, ne tradisce la sua “natura intima e segreta”. Come per un germoglio che ha voluto vita autonoma, Moresco ha coltivato questo spunto che teneva da parte, in mezzo agli appunti in vista della composizione degli Increati (2015).
In questo suo eremo selvaggio, dove la natura afferma il tuo strapotere, il protagonista viene colpito dalla presenza di una lontana lucina che si accende ogni notte, oltre il crinale di fronte casa sua. Chi accende quella lucina? E perché?
Meravigliose riflessioni notturne e descrizioni taglienti come un bisturi. Sorprendiamo la voce narrante parlare -e si sorprende lei stessa - con gli insetti, con le piante, con gli alberi cui pone domande senza risposta:
“Perché c’è tutto questo sottobosco cattivo?” mi domando. “Che cerca di avviluppare e di cancellare e di soffocare gli alberi più grandi? Perché tutta questa misera e disperata ferocia che sfigura ogni cosa? Perché tutto questo brulicare di corpi che cercano di prosciugare gli altri corpi suggendoli con le loro mille e mille scatenate radici e le loro piccole, forsennate ventose, per dirottarne su di sé la potenza chimica, per creare nuovi fronti vegetali in grado di annientare tutto, di massacrare tutto? Dove posso andare per non vedere più questo scempio, questa irreparabile e cieca torsione che hanno chiamato vita?”
In presenza di un desolante e cupo materialismo senza Dio, dove la natura appare in tutto il suo crudele e meccanico trasformarsi, esclusivamente volto al ripetitivo ciclo della vita che segue alla morte. Una natura lucreziana e leopardiana, un dissolvimento senza speranza di materia, pasto per una nuova.
Cieco pessimismo senza riscatto. E senza una voce che dia risposta, se non un conforto.
In questa sorta di fiaba apparente, c’è un senso del dolore che sembra colpire solo l’uomo, la natura, “matrigna”, è indifferente a tutto quello che succede alla sua prole.
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