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Le ombre di una vita
Un unico filo conduttore, storia al femminile nel cuore di una famiglia retta da donne, una scrittura cruda e uniforme, quasi una litania che riflette un sentimento, quella rabbia repressa che avvolge il respiro della protagonista, sin da bambina, incanalandola in una routine che qualcuno ( la madre Antonia ) ha già deciso per lei.
Periferia di Roma, un quartiere popolare che è il perimetro dei propri spostamenti, lotta e miseria, privazioni, denunce, rimostranze, chiedendo di non essere dimenticati, senza una casa, intrappolati da un’ infausta esistenza, tra drogati d’eroina e anziani moribondi, progettando la fuga, una vita che non basta, senza amore, cercando un riscatto voluto da altri, la scuola e lo studio come unica possibilità, i libri a consolare un presente siffatto.
Una famiglia disgraziata e anestetizzante, un padre travolto e immobilizzato dal dolore, che non vuole più stare nel mondo, una madre infaticabile e ossessionata dalle cose giuste, un fratello idealista e ribelle, due gemelli chiassosi che dormono in un enorme scatolone pieno di coperte, una protagonista bambina che già fissa negli occhi la paura, non essere come Antonia, non bastare mai, non vincere nessuna battaglia, coltivando le proprie nevrosi.
C’è un “ noi “ in cui nessuno le ha mai chiesto se voleva abitare, la solitudine compagna della propria infanzia, sentendosi ingombrante nella propria casa, quando è stato necessario trasferirsi in provincia, traslocare sulle sponde di un lago secolare, in un paese dove ci si deve ripulire faccia e corpo, farsi riconoscere, dove si è figli di Antonia la rossa.
Cos’è la famiglia se non un luogo di menzogna in cui nascondere la propria identità, inventarsi favole, proteggere ingiustizie, un angolo infarcito di luoghi comuni, e che cosa realmente vogliamo? Qui si cementano rabbia e rassegnazione, violenza e bugie, qui si è immobilizzati, stesso posto, stessa faccia, stessa ora, nell’ attesa dei propri diciotto anni.
Amori, amicizie, perdite, tradimenti, un luogo dell’ infanzia e della memoria in cui crescere, un malessere sfociato in una violenza inarginabile, un’ implosione funesta, e sentirsi una giovane donna a metà, spezzata, opaca, contenuta da sempre, a lungo anestetizzata nei sentimenti, con una scarsa autostima, in un posto che non sa tenere i segreti, nascondere la morte, occultare il dolore.
Una donna che non ha fatto altro che studiare e scrivere, annotando scrupolosamente il proprio sapere, senza uno sbocco professionale, già vecchia, ignorata nelle proprie opinioni e nelle decisioni importanti, mentre la propria madre rimane la stessa dell’ infanzia e lei un giorno, sarà costretta a tornare in un luogo estraneo.
È allora che incrocia lo sguardo della bambina che fu e che ancora le sussurra qualcosa, e comincia un racconto tra finzione e realtà, fotogrammi del passato, in una casa riadattata, scorrendo con i pensieri quel luogo prosciugato dalla città, entrando tra i vicoli della propria memoria, in un angolo zeppo di ricordi, e c’è un volto amico che le manca all’ interno della magia del lago.
Un romanzo ben scritto, personaggi ben delineati, caratteri crudelmente esposti, ma eccedente nella propria continua sofferta linearità. Quel sentimento di rabbia e di dolore che accompagna l’ intero racconto finisce per limitarlo e infragilirlo, ben oltre la propria ribadita essenza.
In quel mentre tutto pare annebbiarsi, perdere vigore e vitalità, appiattendone e ripetendone toni e contenuti, mentre le proprie manchevolezze assumono i colori sbiaditi di un’ assenza protratta.