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“Non ho capito bene.” Irene.
Romanzo ambientato a Napoli, ruota intorno a Maria insegnante in una scuola serale, e Irene, la figlia che viene al mondo dopo soli sei mesi di gravidanza, così vicine ma costrette lontane da quello spazio bianco, che non è solo l’ospedale, che racchiude le loro momentanee esistenze. Intorno personaggi vari che faticano a mandare avanti la giornata e incrociano Maria nel difficile travaglio in cui si trova a dover lottare.
Partorire un figlio bisognoso di cure è l'incubo di ogni donna, quando si realizza metabolizzarlo è solo la difficoltà successiva, a cui ne seguiranno altre.
La Parrella non si prodiga in superflue descrizioni, i sentimenti certamente percepiti sono appena accennati, come se la scrittrice volesse scrivere solo per chi comprende anche senza tanto dire.
Il romanzo si snoda in un unico lungo capitolo, senza soluzione di continuità, forse perché è così che Maria vede la sua vita e quella della piccola Irene.
Il tema è complesso e non mi ha pienamente convinto, non perché volessi più morbosi dettagli, ma nonostante l'argomento trattato, non mi ha pienamente sollecitata come invece mi sarei aspettata, e questo lo imputo al taglio che al romanzo è stato dato, che io ho percepito troppo asettico. Stranamente e incredibilmente freddo, come le stanze dell'ospedale che le riempiono la vita. Uno "spazio bianco" di sospensione che tutti abbiamo prima o poi conosciuto, può schiacciarti o forzarti a procedere nel cammino. E' forse questo aspetto dei sentimenti che più mi è mancato e che ho cercato, nella mancanza, di immaginare.
Nel finire del racconto la narrazione dei primi biberon di Irene, quel gesto così naturale che può trasformarsi in un pericolo mortale per alcuni bimbi in determinate situazioni di salute, mi ha fatto pensare al dare la vita e al toglierla, ho percepito appieno la disperazione, da solo è valso per tutto il non detto.
E’ una lettura che consiglio certamente.
"Ho provato. Aspettando la metropolitana per l'ospedale, tutti i giorni, ho provato a leggere saggistica. I primi tempi ci sono riuscita, perché non avevo altro se non la mia testa. Ed era una testa molto esercitata sui libri.
Qualunque rancore i miei si rilanciassero da un estremo all'altro del corridoio, venivano assorbiti dal silenzio del tempo fermo. Io leggevo."
Buone prossime letture