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Visionario, delirante e realista
L'estate sta finendo (diceva qualcuno...), ed io cerco di trattenerla leggendo questo libro, ma non aspettatevi un romanzo fatto di spiagge affollate, mare, musica, vita, colori, e flirt al sapore di salsedine...
No, questo è un libro decadente, per chi riesce a trovare nella luce accecante delle giornate estive un che di dolente e malinconico.
Una luce forte che permette di vedere tutto con estrema chiarezza e lucidità, ma allo stesso tempo un caldo che cuoce, che asfissia e che genera sogni ad occhi aperti.
Visionario, delirante e realista.
"Maledette sere d’estate, tutte, nessuna esclusa. Le sere di giugno, che sanguinavano e ti dicevano bugie; le sere di luglio, in cui la luce sopravviveva al tramonto ma come svuotata dei colori; le sere d’agosto, camicette d’organza nera con gli astri al posto dei bottoni."
Così come ne "Gli autunnali", ci troviamo di fronte ad una ossessione amorosa, un desiderio che non trova pace né realizzazione, una visione dell'amore cinica, stanca, che risente degli anni che ognuno si porta addosso, del logorio dell'abitudine... ma non vuole soccombere sotto il peso del tempo che passa e trova, sotto diverse forme, il modo di resistere.
Perché se è vero che siamo mortali, è ancora più vero che desideriamo amare per sempre.
Ancora una volta Ricci ci presenta un uomo mediocre, pavido, in questo caso uno scrittore che non scrive, senza idee, senza slanci, un cinquantenne annoiato che inizia a vivere un amore platonico per una ragazza giovanissima che gli si palesa, come una stella cadente, in una notte di San Lorenzo al Circeo, dove è solito trascorrere le vacanze.
Ed ecco che il romanzo si nutre delle sole estati del protagonista, lasciandoci solo immaginare il resto del tempo.
Quindici estati, quindici anni di desiderio, pensieri, assenze, avvicinamenti e distanze siderali.
Quindici estati in cui non accade quasi nulla, fra loro, se non piccoli giochi crudeli, ripicche da ragazzini innamorati.
"C’eravamo amati a modo nostro, un dispetto per uno, sotto l’insegna tarlata della crudeltà, rendendoci insopportabili (e perciò impossibili), ma proprio per questo c’eravamo amati di più."
Secondo capitolo di Luca Ricci che ci presenta, con le sue atmosfere impalpabili, la sua visione dell'umanità e dell'amore, coniugale e non, attraverso le quattro stagioni, intese anche, e soprattutto, come stagioni della vita.
Un volersi calare nel procedere del tempo, cercando di capire, di analizzare e di inseguire, la conseguente andatura dei sentimenti.
Bello e intenso.
I dialoghi fra lui e la moglie sono graffianti e arguti, quelli con il suo editore traboccano di amore per una letteratura buona e pura, i suoi sogni ad occhi aperti hanno un fascino perverso che raggiungerebbe vette tragiche, se non fossero anche comici.
Un romanzo che ha, dentro di sé, il sapore del racconto, la sua verticalità e il suo ritmo.
Se l'Autunno è stata la stagione dello struggimento, l'Estate è quella dell'incoscienza... da non confondere assolutamente con la leggerezza.
Aspettando "Gli invernali"...