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Il giardino dei Finzi Contini
 
Il giardino dei Finzi Contini 2021-08-18 20:47:45 anna rosa di giovanni
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anna rosa di giovanni Opinione inserita da anna rosa di giovanni    18 Agosto, 2021
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Gli inganni del cuore, gli inganni della storia

IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI (1962)
di Giorgio Bassani

Oh, finalmente dopo mezzo secolo che mi imbattevo in questo titolo, finalmente l’ho letto! Bello! Breve romanzo che si legge d’un sol fiato per varie ragioni:

1. È di facile lettura: i capitoli si susseguono cronologicamente addirittura con l’indicazione dell’anno e della stagione in cui si situa quanto in essi viene narrato, ed è scritto in un italiano colloquiale, come se la voce narrante, che è quella del protagonista, che chiamerò Roberto (poi dirò perchè), fosse la voce di uno che racconta ad un amico o scrivesse per sé. In particolare, Roberto usa spesso la modalità del discorso indiretto quando ricostruisce le conversazioni, il che gli consente di esprimersi come si esprimono le persone cui dà voce, coi loro vezzi, i sottintesi e l’ironia scanzonata, questa soprattutto e spesso quando parla Micol Finzi-Contini, la giovane donna di cui Roberto è innamorato, ma anche Roberto è capace, retrospettivamente, di vedere. A questo proposito, “sentendo parlare” Micol, la quale come un po’ tutti gli altri dissemina le sue frasi di parole dialettali, immagino la Mariangela Melato in versione ferrarese-romagnola, piuttosto che la francese Dominique Sanda che ne interpreta il ruolo nel film di Vittorio De Sica, e che ho visto troppo tempo fa per ricordarmene e capire come mai Bassani lo ha disconosciuto, ho letto in wikipedia.

2. Parla, Bassani, tra l’incanto e il disincanto, del baudeleriano “vert paradis des amours enfantines” (citato due volte), cioè parla delle prime attrazioni amorose e in generale di giovani ognuno in modo diverso idealista e in fondo fragile, parla della confusione dei sentimenti tipica della giovinezza, del rapporto coi genitori anche: e ci siamo passati tutti, credo.

3. I personaggi, nessuno dei quali peraltro è negativo, sono “attachants”, direbbero i francesi, cioè ci si affeziona loro e sembra di vederli e sentirli davvero, pagina dopo pagina, soprattutto 1. Micol, giovane donna determinata, innamorata dei “láttimi” che va collezionando ma anche capace di tirare il collo alle galline destinate alla cucina “pur amando le bestie”, per la quale l’amore è “per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, ben più crudele e feroce del tennis! [il tennis non figura qui casualmente] Da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi” (p. 162): altro che “vert paradis!”; 2. il prof. Ermanno suo padre, di cui dirò più avanti; 3. “il Giampi”, Giampiero Malnate, il chimico comunista convinto della vittoria dei lavoratori; 4. Roberto, infine, naturalmente, con le sue insicurezze. Ah, l’ho chiamato Roberto, il personaggio che racconta la storia dei Finzi-Contini, perchè assomiglia moltissimo allo studente troppo serio e insicuro del film Il sorpasso di Dino Risi che hanno appena ridato in TV, il quale appunto si chiama così (per fortuna nel romanzo nessuno assomiglia però al personaggio interpretato da Gassman).

4. Bassani, di famiglia ebraica, che riuscì a scampare allo sterminio così come il personaggio narrante (accenna al “carcere” a non so più che pagina), ci fa conoscere, attraverso questo suo romanzo, un pezzo di storia italiana di cui non si parla moltissimo: gli anni che precedono la Seconda guerra mondiale, quando vengono promulgate le leggi razziali (1938), anni che non sono oggetto di moltissimi film ed opere scritte a differenza di quanto accadeva nei lager, soprattutto quelli tedeschi però … E mette in luce come mai e poi mai gli ebrei italiani si aspettavano che l’Italia e il Duce li avrebbero ingannati! Come tutti i romanzi che per me vale la pena di leggere, anche questo è dunque ben lungi dal solipsismo e dal puro divertissement. In particolare, la storia della famiglia Finzi-Contini ricalca quella della famiglia del ferrarese Silvio Finzi-Magrini, di appartenenza ebraica (vedi in Internet “R2 La vera storia dei Finzi-Contini” in repubblica.it oppure “Ferrara ebraica, una famiglia che ha fatto la storia” in ferraraitalia.it), e il padre di G. Bassani era sostenitore del fascismo e patriota come il padre di Roberto e molti ebrei italiani (vedi per es. Internet “Giorgio Bassani e Arrigo Levi: due sguardi incrociati su “italianità” e “ebraicità” negli anni del fascismo e della persecuzione”). Di tutti i Finzi-Contini sappiamo fin dal Prologo che verranno deportati e non scamperanno alla morte, ma l’autore ci risparmia la narrazione della fine e gliene sono grata.
Detto tra parentesi, le pagine che più specificamente raccontano il tradimento degli ebrei italiani, sono proprio al centro del libro (p. 118.120).

5. Nonostante la trama vera e propria sia l’evoluzione dei rapporti tra Roberto, Micol e i suoi familiari e gli amici che ruotano intorno a Micol e a suo fratello Alberto, personaggio a mio parere poco delineato, una tensione costante sostiene la lettura: fino all’ultima pagina si attende di scoprire i sentimenti di Micol per Roberto: cosa prova lei per lui? ama forse un altro? e se lei lo ama, quanto tempo potranno amarsi prima che Micol verrà portata via dai nazifascisti? Non a tutte queste domande avremo risposta, perché Roberto, che racconta e per primo si interroga sui sentimenti che via via Micol prova per lui, non sa tutto, similmente a … un uomo reale piuttosto che ad un romanziere onnisciente, e d’altra parte quanta parte del vissuto degli altri ci resta segreto?

6. Il contesto geografico e culturale è appunto la città estense, ma dietro a Ferrara si intravede Venezia, quel centro del Mediterraneo in cui confluivano cose e genti da Oriente bizantino e da Occidente per formare una civiltà cosmopolita e variegata che continuerà nell’Impero Austro-Ungarico, col suo bel ramo spagnolo: non per caso il prof. Ermanno Finzi-Contini, papà di Micol, è figlio della baronessa Josette Artom, “ammiratrice fanatica della Germania dell’elmo chiodato di Bismarck”, ed è sposato con “una Herrera di Venezia” i cui fratelli, per come sono descritti, fanno pensare ai personaggi delle tele di El Greco.

Ecco, la famiglia dei Finzi-Contini rappresenta la quintessenza di una civiltà cosmopolita spesso colta destinata ad estinguersi nei forni crematori, con radici sparse per il mondo ma capace di radicarsi profondamente in un territorio: i Finzi-Contini sono ricchissimi proprietari terrieri, facilmente passano dall’italiano al dialetto ferrarese, ma anche sono coltissimi, prediligendo e conoscendo proprio la cultura italiana più classica. La casa in cui abitano, poi, che Roberto scopre progressivamente stanza dopo stanza fino - ultima - la stanza di Micol, che neanche a farlo apposta è quella più in alto, racchiude oggetti che testimoniano dell’arte e della storia italiane degli ultimi secoli, mentre la grande biblioteca del professore contiene la summa di tutto ciò che la cultura, sia umanistica sia scientifica, ha prodotto. E mi chiedo se siano proprio casuali quei passaggi dedicati ad oggetti tecnici: dalla derivazione telefonica alla macchina da scrivere o se non siano indizio della versatilità della cultura ebraica (come non pensare per esempio ad Adriano Olivetti?).

La casa è il cuore di un immenso parco circondato da mura, ricco di ogni sorta di piante che Micol ama e conosce, anche alberi da frutta, attraversato da un canale e vi si trova persino una fattoria con sei mucche! Da quella casa, come fosse un ghetto protettivo all’interno della città, nessuno dei Finzi-Contini desidera né sa uscire se non, raramente, di nascosto, più per il piacere dell’avventura che perché si avverta la mancanza di qualcosa lì dentro. È per questo loro isolamento e per il rifiuto ad aderire come tutti al partito fascista che gli altri ebrei di Ferrara li reputano altezzosi e sminuiscono la loro reazione, discreta ma significativa, alle prime misure antisemite. Eppure le persone “bene educate”, quelle per cui varrebbe il motto “Fa quel che vuoi” della cosiddetta “abbazia” di Thélème di Rabelais, sono invitate a partecipare alla loro vita nel modo più generoso e liberale.

Ora, oltre alla casa, che forse è metaforicamente il luogo del pensiero e dell’intimità, in quel parco c’è un altro punto vitale: il campo da tennis, il luogo dell’azione in senso stretto, ed è lì che Micol, Alberto e i loro amici si misurano, si combattono e rafforzano ognuno la propria capacità di “giocare” contro l’altro, come più tardi, nell’inverno, Roberto e “il Giampi” si misureranno e si combatteranno a colpi di discussioni politiche, oscuramente - forse - per la conquista di Micol, anche se Micol non è lì di persona … Roberto perde la partita finale: in lui Micol vedrà sempre - affettuosamente - il bambino che al Tempio, occhieggiava dieci anni prima verso di lei da sotto il thaled bucherellato di suo padre. Chissà, forse se fosse assomigliato a quel Julien Sorel del Rosso e il Nero che Roberto legge a un certo punto …

In realtà nessuno vince. L’educazione sentimentale di Roberto si compie infatti quando lui accetterà di non aver “vinto” Micol e avrà allora il cuore libero per riavvicinarsi al padre, che anche lui ha perso: ha capito che una volta ancora gli Ebrei saranno il capro espiatorio della storia. E anche il Giampi ha perso, perché l’URSS concluderà un patto scellerato con Hitler alla faccia dei lavoratori.

DOMANDA: Qualcuno sa se Bassani ha intitolato il libro così per analogia col Giardino dei ciliegi, che racconta anch’esso la fine di un mondo e di un’epoca?

P.S. IL PROLOGO. Bassani (o il personaggio narrante) lo ha scritto per spiegare come mai vent’anni dopo che tutto è finito, nel ‘57, ha sentito il bisogno di raccontare quei giorni “incredibili” dell’estate del ‘38, così aperti alla gioia e ancora ignari di cosa si stava preparando e poi quelli più opachi dell’inverno che seguì: le parole pronunciate dalla bambina dei conoscenti con cui visita delle tombe etrusche lo inducono a pensare che le tombe degli Etruschi esistono ancora e qualcuno persino le visita sia pur non per affetto, mentre di tutta una famiglia da lui amata come di tante altre conosciute, la tomba non c’è o è vuota. Corpi passati per il camino.


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Commenti

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Molto interessante quanto dici, Anna Rosa.
Anch'io ho molto apprezzato questo libro.
Hai ragione : nessun personaggio è veramente negativo. Gli autori che dividono in buoni e cattivi i loro personaggi non mi piacciono; ci sarebbe il sentore del romanzetto 'costruito a tavolino' e spiattellato come una merce qualsiasi.
In risposta ad un precedente commento

20 Agosto, 2021
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Emilio, intanto grazie dell'apprezzamento. Quanto al fatto che non ci sono personaggi negativi, è perché i personaggi - ci sto pensando solo ora - sono tutti future vittime ...

Approfitto di questo tuo commento per esprimere un'opinione su questo sito: non vedo l'utilità dei like (quel "ha trovato utile ecc." in realtà è un like e basta, e ho la netta sensazione che siano messi "d'ufficio"), mentre sarebbe veramente interessante scambiare qualche parere su opere che si conoscono. Personalmente io leggo solo le opinioni relative a libri che ho deciso di leggere, però, per non offendere nessuno, ho deciso di non mettere nessun like anche a opinioni che ho trovato utili.
Comprendo. Però ci sono vari utenti che tendono a non rispondere ai commenti. Pazienza.
L'osservazione sui personaggi mi pare interessante. Già nel capitolo del prologo, la considerazione sulla caducità della vita e sul fatto che i morti hanno una loro storia di vita, quindi li sentiamo 'vicini' (osservazione della bambina), pone forse le basi emotive al lettore a predisporlo alla benevolenza verso i personaggi.
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