Dettagli Recensione
Una mancata evoluzione
Giulia Caminito ci consegna un romanzo dalla scrittura potente, dallo stile coinvolgente e particolare.
Fin dalle prime pagine si viene catturati dalla forte espressività della prosa che ci narra la storia di una bambina nata in una famiglia povera, a Roma. L’io narrante è quello della protagonista, della quale conosceremo il nome soltanto verso la fine del romanzo -fra l’altro senza dubbio un nome-ossimoro rispetto alla personalità della ragazza-.
La voce della giovane racconta della sua vita, all’inizio, com’è naturale, in seno alla famiglia, in cui emerge la figura carismatica della madre, Antonia, e in seguito del suo personale percorso di formazione e crescita dalla tarda infanzia al periodo della maturità nell’età adulta. Questa vita scorre in un contesto oggettivamente difficile, soprattutto dal punto di vista economico. Il padre infatti, dopo un grave incidente sul lavoro è rimasto paralizzato: poiché stava lavorando in nero però non ha diritto a nessun tipo di sussidio economico. La famiglia è composta, oltre che dai genitori e dalla protagonista, da un fratello più grande, nato da una precedente relazione della madre e da due gemelli più piccoli. Il comune tarda ad assegnare loro un luogo dignitoso dove vivere e Antonia lotta con tutte le sue armi e le sue forze per ottenerlo e per mantenere con il suo lavoro, anche in questo caso precario e non regolarizzato, tutta la famiglia. Sarà necessario spostarsi da Roma in un paesino in provincia, sul lago di Bracciano, per avere l’illusione di partecipare ad una vita regolare e dignitosa.
Il romanzo si dispiega sugli anni della crescita della protagonista; lei viene spesso messa a dura prova dalla realtà dei fatti e reagisce sempre con cattiveria, impara a difendersi con violenza, reagisce al dolore con aggressività. Diventa la possibilità del riscatto sociale della sua famiglia perché studia con profitto nelle migliori scuole in città, a Roma. Frequenta le stesse lezioni dei ricchi e con risultati migliori a livello di voti. Lo studio però non è presentato nel romanzo come un mezzo di crescita personale, di acquisizione di strumenti critici per osservare la realtà. Non diventa mai una lente che permette di mettere a fuoco valori e prospettive. Al contrario lo studiare della protagonista è mostrato come un atto meccanico che non le fa ottenere niente altro che ottimi voti. E quando la professoressa di italiano del liceo le consiglia, in modo offensivo e fortemente denigratorio, di intraprendere degli studi che le permettano di lavorare e guadagnare presto, vista la sua condizione sociale, la ragazza decide per ripicca di scegliere la facoltà di Filosofia. Continua così con il metodo collaudato e meccanico di uno studio sterile, che non le dà niente in profondità ma le fa macinare esami, rifiutando però, con orgoglioso sdegno, di inserire nel piano di studi quegli esami che le avrebbero permesso di lavorare come insegnante nelle scuole.
Emerge da questo romanzo la grande rabbia della protagonista nei confronti della sua vita e della società. E’ una rabbia però a cui non corrisponde mai un reale desiderio di riscatto: sì, lei reagisce ai soprusi con determinazione, con violenza, con cattiveria, ma è una reazione che tende essenzialmente a distruggere e non a costruire. Si potrebbe pensare ad una evoluzione mancata, una implosione, che lascia nel lettore una sensazione di inquietudine e smarrimento.
Un buon romanzo nel complesso, di cui ho apprezzato particolarmente lo stile.