Dettagli Recensione
Un libro amaro
L'autrice ci ha messo in guardia col titolo, in effetti è così: si tratta di una storia fondamentalmente dura ed amara, scritta in uno stile asciutto e tagliente.
È una storia che parla di povertà, di case in assegnazione, di una famiglia sgangherata, di un fratello maggiore figlio di un altro uomo, di due gemelli, di un padre in sedia a rotelle, ridotto allo stato larvale, di una figura materna forte, caparbia e assertiva.
L’io narrante è una ragazza che vedremo prima bambina poi adolescente e adulta fino alla laurea. Un romanzo di formazione? Più che altro di distruzione, direi.
La protagonista sembra particolarmente portata a distruggere con la rabbia, dovuta a un intimo senso di emarginazione nella cerchia dei pari, quei pochi rapporti positivi che potrebbe coltivare, in primis l’amicizia di Iris.
Mentre la madre, di cui conosciamo il nome da subito, dalle prima battute del libro, - Antonia Colombo, detta poi La Rossa, per via della sua capigliatura- si dimostra un personaggio forte, dominante, che fa rigare tutti dritto in casa e non solo, la figura paterna è giusto un abbozzo, un’ombra.
Nella prima parte del libro si affaccia spesso anche la figura del fratello maggiore, Mariano, per poi scomparire nella seconda parte.
Della protagonista, io narrante, conosceremo il nome solo alla fine, citato una sola volta. Gaia. La figlia di Antonia la Rossa, così viene riconosciuta ad Anguillara Sabazia, luogo in cui il romanzo si ambienta. È una ragazza che non riesce a vivere le amicizie spontaneamente, si vergogna delle sue origini, della sua famiglia, della sua casa stretta e così non invita mai nessun’amica a fare i compiti da lei.
“Noi non abbiamo i cellulari, non abbiamo la televisione, non abbiamo un computer, noi senza mezzi, senza possibilità di comunicazione, chiusi nel passato di un mondo che sta correndo al galoppo, ci sorpassa, ci schiaccia sotto i suoi zoccoli duri”.
E lei non è una povera vittima innocente dei bulli della scuola, delle amiche che le hanno portato via il ragazzo: dentro lei cova una rabbia così forte da straniare talvolta il lettore. È capace di fare del male, di picchiare, anche di ammazzare (ma non succederà) per cieca vendetta. Come lei stessa dice neppure le amiche la conoscono bene e non sono in grado di concepire la portata “ dei miei momenti schizoidi, delle mie imprevedibili ma cadenzate reazioni esagerate”.
E il lago? Il lago è sempre sullo sfondo, onnipresente quasi in ogni capitolo. È il lago di Bracciano con le sue credenze, i suoi miti, il suo presepe subacqueo. È un elemento positivo della storia, ma non fino in fondo “molto tempo fa era un vulcano, perché questo è il nostro lago: il risultato di una implosione”.
Implosione. Anche nella protagonista si verificano delle implosioni di rabbia, è una supernova che fa terra bruciata. Una violenza insensata che a lungo andare non piace al lettore.
Del libro mi è piaciuta la prima parte, infatti, è stata molto coinvolgente: bello l’intro con la presentazione della madre, che la protagonista nel libro chiama sempre Antonia. Una donna che lotta, che sa quello che vuole, che lavora in casa instancabilmente, che pulisce, che educa i figli al rispetto delle persone e delle cose. Mi è piaciuta anche la parte relativa ai primi episodi di bullismo vissuti da Gaia (e diciamolo!), ma poi i personaggi che sono entrati nella sua vita non hanno lasciato niente, mi sono sembrati tutti delle ombre. La seconda parte mi ha coinvolta sempre meno, ho notato un sottotono che mi ha lasciata un po’ delusa, inoltre alcune situazioni e alcune persone anche (Cristiano ad esempio) mi sono parse poco verosimili, ho notato un calo generale.
Lo stile della Caminito è asciutto, secco, con passaggi molto concitati. La parte narrativa-descrittiva lascia spazio ad ampi flussi di coscienza, fiumi in piena ed elenchi di cose. I dialoghi non vengono evidenziati coi canonici segni di interpunzione, ma vengono interamente travolti da un unico fluire narrativo.
Consigliato.