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Dalla sofferenza nasce richiesta di salvezza
“Dall’alto, dalla punta estrema dell’universo, passando per il cranio e giù, fino ai talloni, alla velocità della luce, e oltre, attraverso ogni atomo di materia. Tutto mi chiede salvezza. Per i vivi e i morti, salvezza. Salvezza per Mario, Gianluca, Giorgio, Alessandro e Madonnina. Per i pazzi di tutti i tempi, ingoiati dai manicomi della storia”.
L’essenza di questo libro scritto da Daniele Mencarelli, di un poeta popolare che usa il gergo dialettale romanesco alla maniera di Pasolini, che ha saputo toccare le corde del cuore con un’opera che sa di poesia, è contenuta in quella citazione. Più precisamente in quel “Tutto mi chiede salvezza” che, a partire dal titolo, attraversa come una spina dorsale questa storia autobiografica, una sorta di litania che ritorna più volte nel testo, una preghiera laica ed anche di fede, una richiesta di pace “Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri”
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La richiesta di salvezza è figlia della sofferenza provata sulla propria pelle, di un disturbo depressivo-bipolare che ha accompagnato l’autore nella sua adolescenza, alimentato dall’uso di alcol e stupefacenti, esploso in atti di violenza incontrollati che lo hanno portato ad una settimana di ricovero in clinica con prescrizione di un TSO. La narrazione è pertanto incentrata su questa settimana di ricovero, in 7 capitoli differenti, uno per ogni giorno di permanenza, caratterizzato dal suo carico di dolore, di nostalgia verso la famiglia, di riflessioni dal forte contenuto metafisico, alla ricerca di un senso profondo della vita, di un qualcosa che vada oltre la materialità (“...ma è sbagliato cercà un significato?….Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, allora vojo morì”). Ma soprattutto il ricovero è caratterizzato dall’interazione tra il narratore protagonista ed i suoi compagni di camera: Mario, Gianluca, Giorgio, Alessandro e Madonnina, ognuno con i propri problemi, i propri drammi interiori che si sveleranno lentamente, e nei confronti dei quali verrà chiesta quella salvezza necessaria per superare il dolore. In questa conoscenza forzata si cela la vera forza salvifica del romanzo, il messaggio evangelico che si dischiude nella sua progressiva presa di coscienza di una solidarietà tra ricoverati che si spinge oltre, fino a trasformarsi in affetto profondo, riconoscendo così nel prossimo un fratello.
“Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare”.
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Dai 'pezzi' riportati, Gabriele, non si direbbe un testo che risente del linguaggio letterario pasoliniano. Per me, meglio così : o si ha la grandezza di G. Verga o è più opportuno scrivere nell'armonia della bella lingua italiana senza artifici camilleriani o gaddiani.