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Tre personagge
Diverse volte durante la lettura mi sono chiesto cosa e quanto ci fosse di autobiografico in questo romanzo rientrante nella cinquina finale del Premio Strega 2021. E la risposta alla mia domanda la fornisce direttamente l’autrice nella nota finale al libro: “Questa non è una biografia, né una autobiografia, né una autofiction, questa è una storia che ha ingoiato frammenti di tante vite per provare a farne una narrazione”.
Le vite attorno alle quali si costruisce tutta la vicenda sono sostanzialmente tre. Antonia, la madre “padrona” della famiglia, l’autorità che decide le sorti di figli e marito, dotata di una forza e di un carisma inarrivabili e che fin dalla prima pagina viene presentata con una “valigetta di pelle nera stretta nella mano sinistra, si è fatta da sola la piega ai capelli, ha usato bigodini e lacca, ha gonfiato la frangetta con la spazzola, ha occhi verdi e gialli e tacchetti da cresima, lei entra e la stanza si fa piccola”. La seconda è Iris, l’amica di Gaia la protagonista, presenza che accompagna e affianca Gaia lungo l’intero arco della narrazione, “l’amica del cuore”, figura tipica soprattutto nel periodo adolescenziale. Ed infine appunto Gaia, la narratrice in prima persona tratteggiata sulla figura della scrittrice, “eroina” di un romanzo di formazione in cui si evidenziano tutte quelle tappe fondamentali della vita che hanno a che fare con il rapporto in famiglia (spesso problematico), la scuola ed i compagni di classe, l’amicizia, l’amore, il tradimento ed anche il dolore per la perdita di una vita importante. Nel titolo e nei comportamenti di Gaia si svela dunque il contenuto del romanzo perché l’acqua del lago (di Bolsena, dove è ambientata gran parte della storia) non è dolce come si crede (“Dicono acqua dolce, ma è una bugia. Questa acqua ha il sapore della benzina, quando avvicini l’accendino prende fuoco”), e diventa metafora della fatica di crescere, di quegli schiaffi in faccia presi dalla vita che progressivamente forgeranno la personalità ed il carattere di Gaia donandole però una nuova consapevolezza: “I miei pensieri fanno crescere voglia di guerra e di vendetta, è finito il tempo in cui ero indifesa, ho capito parecchie cose ormai: so sparare, so picchiare, so maltrattare e so prendere a baci”.
“L’acqua del lago non è mai dolce” è un romanzo che si nota innanzitutto per l’accuratezza nello stile, nella scelta delle parole e per la particolarità nell’usare frequentemente lunghi elenchi di parole, frasi, riflessioni che hanno il pregio di rafforzare certi concetti. Anche la storia allo stesso tempo presenta contenuti importanti, che pescano dall’attualità dei giorni nostri, evidenziando tematiche quali l’assegnazione degli alloggi popolari, il lavoro nero e gli infortuni sul lavoro. Tutto questo ha un valore aggiunto superiore considerata anche la giovane età dell’autrice che mette in scena un romanzo decisamente al femminile con al centro “tre personagge”, proprio come scrive lei stessa nella nota conclusiva. Quello che, forse, difetta invece è proprio questa perfezione di stile e contenuti che a tratti risulta un po’ artificiale e non arriva sempre al cuore del lettore, facendo pensare ad un libro confezionato anche per emergere in un premio letterario e che a mio avviso abbassa leggermente la valutazione complessiva.
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ho letto con interesse il tuo commento
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